Alla fine ad andare alla deriva sono stati i parlamentari del Partito Democratico. Divisi tra chi vuole continuare le politiche di sostegno alla Guardia Costiera libica avviate dal governo Gentiloni e chi propone una brusca retromarcia in difesa dei migranti i deputati del Pd se la sono data a gambe.
Ieri per non rendere evidenti le divisioni interne hanno abbandonato l'aula al momento del voto sul decreto legge per la fornitura a Tripoli di 12 motovedette. Dodici motovedette indispensabili per garantire il controllo di tutte le zone in cui i trafficanti buttano a mare la loro merce umana. Con quel voto il Ministro degli Interni Matteo Salvini ha chiuso un'importante tappa nella lotta all'immigrazione irregolare. Dopo aver neutralizzato le navi delle Ong grazie ad un divieto di accesso ai porti che ne rende impossibile l'operatività garantisce ora la piena efficacia della zona di soccorso libico (Sar) istituita un anno fa. Con l'arrivo delle 12 motovedette diventerà non solo inutile, ma anche assai complesso per qualsiasi natante sostituirsi ai libici nelle operazioni di salvataggio.
Ora l'ultimo risultato da raggiungere nella battaglia per il contenimento dell'immigrazione a breve raggio, ovvero sotto costa, è la lotta ai trafficanti di uomini. Una tappa fondamentale prima di passare al contenimento a medio e lungo raggio, due fasi che richiedono operazioni per il ripristino delle frontiere meridionali della Libia e interventi nei paesi d'origine dei migranti e sulle rotte dei flussi migratori in partenza dall'Africa Sahariana. Lo sradicamento dei trafficanti di uomini ha una doppia funzione. Eliminare il terminale d'arrivo al Mediterraneo equivale a tagliare la testa al serpente. Senza quel trampolino, indispensabile per spiccare il salto verso l'Europa, diventano infruttuosi tutti gli altri segmenti del contrabbando umano gestiti dalle organizzazioni impegnate sulle rotte del traffico.
Tagliare la testa del serpente è indispensabile anche per rafforzare il governo di Tripoli guidato da Fayez Al Serraj. I milioni di dollari in contanti generati dal traffico di umani alimentano infatti milizie e gruppi fondamentalisti che impediscono all'esecutivo di Tripoli di esercitare la propria autorità. L'arma in grado di garantirci questo doppio risultato si chiama Sophia. Il piano d'azione della missione navale europea (Eunavfor Med) guidata dall'Italia prevede una fase finale rivolta a combattere i trafficanti di uomini sia all'interno delle acque territoriali, sia sulle coste libiche attraverso l'impiego di squadre di incursori pronti a scendere a terra per catturarli e distruggerne le basi. Fino ad oggi l'Italia non ha potuto invocare l'avvio di quella fase operativa perché solo un voto del Consiglio di Sicurezza Onu o un sì del governo di Tripoli possono aprire la strada ad un intervento sul territorio libico.
La recente missione del premier Giuseppe Conte a Washington ci ha garantito però l'appoggio della Casa Bianca sulla Libia. Grazie a quel sostegno possiamo utilizzare la Conferenza sulla Libia, programmata per l'autunno con sede a Roma, per discutere l'avvio della fase finale di Sophia. Un obbiettivo politico militare complesso, ma irrinunciabile.
Anche la lotta alla pirateria condotta dall'analoga missione europea Atalanta sulle coste della Somalia diede i suoi frutti solo nel maggio 2012 quando per la venne dato il via libera ai raid militari contro le basi dei pirati. Sophia alias Eunavfor Med rimane invece un arma nel cassetto. Per vincere la partita libica dobbiamo deciderci ad estrarla impiegandola per i motivi per cui è stata progettata.
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