E le quote rosa? Che fine hanno fatto? Dopo averci fatto una testa tanta con la necessità di dar spazio alle donne in politica e aver sbandierato, in lungo e in largo, l'alternanza di genere nei governi a guida Pd, ecco che Matteo Renzi e soci hanno fatto sparire le compagne dal dibattito politico. Certo Debora Serracchiani era lì a presiedere (come da statuto) l'Assemblea in cui si è consumata la scissione con la minoranza. Ma non ha preso parola. Come non lo hanno fatto tutte quelle piddine che, presto o tardi, torneranno a pretendere termini come ministra, sindaca e assessora e a sproloquiare sul valore della donna in politica.
Non pervenuta nemmeno la regina del Giglio magico, Maria Elena Boschi. Che in settimana ha fatto più volte la spola da Palazzo Chigi al Nazareno per fare il punto sulla crisi del Pd, ma domenica è rimasta nascosta. Renzi l'ha voluta vedere, insieme ai ministri Luca Lotti e Dario Franceschini, per capire come gestire lo strappo della minoranza dem. In chiaro non ha mai rilasciato alcuna dichiarazione. Sui quotidiani è pure uscito qualche virgolettato acido contro i «ribelli» dem che vorrebbero lo scalpo dell'ex premier. Lei ha sguinzagliato l'ufficio stampa della presidenza del Consiglio perché smentisse tutto. «Nessuna dichiarazione è stata fatta dalla sottosegretaria né ieri, né nei giorni scorsi, sulla situazione politica interna del Partito democratico hanno specificato da Palazzo Chigi . Sono, dunque, smentite le frasi a lei attribuite». Poi è tornata nell'ombra.
Perché, da quando è approdato nel governo Gentiloni, la zarina renziana è sparita dai riflettori. Renzi non l'ha riesumata nemmeno per averla accanto nel definitivo scontro con la minoranza. Alla faccia delle donne in politica.
Chi ha avuto l'ardire di seguire l'intera assemblea del Pd non ha potuto non notare le poche esponenti donne iscritte a parlare. I lavori dell'assemblea sono stati aperti dal segretario. Dopo di lui si sono susseguiti una sfilza di soloni che hanno voluto dire la loro sul futuro del partito. Su ventotto, però, appena cinque donne: Teresa Bellanova, Mila Spicola, Sandra Zampa, Ileana Argentin e Patrizia Toia. Viene da chiedersi che fine abbiamo fatto tutte le big del partito. Eppure, quando si tratta di pontificare sulle quote rose, i vertici piddì sono sempre in prima linea. Lo dice pure lo statuto: «Il Pd impegna a rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla parità dei sessi nella partecipazione politica». E ancora: «Il Pd assicura, a tutti i livelli territoriali, la presenza paritaria di donne e di uomini negli organismi rappresentativi, quali assemblee e direzioni». Belle parole. Ma i fatti?
Alla resa dei conti di domenica scorsa, infatti, c'è stata una sorta di fuggi fuggi. Altro che quote rosa. Sul palco dell'hotel Parco dei Principi di Roma si sono alternati i soliti noti dell'arcipelago democratico. La Boschi non si è nemmeno fatta vedere. Lia Quartapelle, Rosy Bindi e Anna Finocchiaro non si sono esposte. La Serracchiani si è limitata a rilasciare qualche dichiarazione a margine. Marianna Madia non fa parte dell'Assemblea nazionale.
E così si è fiondata su SkyTg24 a criticare le «idee razziste» di Marine Le Pen.Perché è facile fare le prediche agli altri, nascondendo i propri difetti. Quelli di chi dice di promuovere il ruolo delle donne in politica e poi nei momenti fondamentali del partito le tiene ai margini.
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