Ecco perché chi andrà alla Casa Bianca cambierà il Cremlino

Al tempo della "seconda guerra fredda", i rapporti con la Russia potranno cambiare a seconda di chi vincerà le presidenziali Usa

Ecco perché chi andrà alla Casa Bianca cambierà il Cremlino

Come finirà fra Stati Uniti e Russia? Guerra o pace? Non lo sappiamo ancora, ma il destino sta per gettare i suoi dadi con l'elezione del successore di Barack Obama e tutto, anche il peggio, potrebbe succedere. Il peggior scenario possibile: una vittoria democratica potrebbe accentuare la linea dura contro la Russia in Ucraina e nella cintura degli Stati Baltici, che il presidente Putin considera con nostalgia non nascosta sotto la naturale «influenza» russa. Oggi non si usa più l'espressione zone d'influenza, ma l'amministrazione Putin ha sempre fatto sapere di considerare un'offesa l'avanzata della Nato in quella che una volta era la cintura degli «Stati satelliti» dell'Unione sovietica, cui Gorbaciov dovette rinunciare nel 1989/90 perché inutilmente costosa. Gli Stati Uniti intanto non si sa che ancora che cosa diventeranno perché è cambiato il popolo americano, sono cambiate le proporzioni tra caucasici (bianchi) e americani di origine asiatica (emergenti e rampanti) o africana, è cambiato il rapporto fra poteri militari e civili ed è in continua mutazione una politica estera che ondeggia tra Pacifico e Atlantico.

I mutamenti interni prevalgono: mai l'America ha sofferto la tensione razziale tra bianchi e neri come da quando è presidente il primo afro-americano (che non discende dagli schiavi, ma da uno studente universitario keniota in gita alle Hawaii) e mai è stata così incerta sul suo futuro. Alle tensioni razziali hanno fatto eco le tensioni sociali e la percezione del potere come grande complotto, ciò su cui punta il socialista Bernie Sanders che accusa Hillary Clinton di essere una serva del capitalismo finanziario e anche Donald Trump, l'eretico scomunicato della politica, che sta facendo tremare la diplomazia americana e di tutto il mondo. L'America potrebbe prendere una decisione isolazionista di destra (Trump) oppure una isolazionista di sinistra (Sanders) se dovesse fallire la nomination dell'ex segretario di Stato Hillary Clinton. Dunque, ognuna delle tre possibili soluzioni presidenziali indica diversi scenari e rischi in campo internazionale, specialmente nei rapporti di guerra o pace con la Federazione Russa.

Lo scenario della Federazione è molto compatto, dietro a un uomo solo al comando che incassa ripetuti successi di immagine e che ha spostato di parecchi gradi l'asse della vecchia guerra fredda, a proprio favore. La leadership di Putin funziona bene in patria e fa proseliti in Europa, Italia compresa. Piace alle destre e alle sinistre, meno ai liberali. Finché esisteva l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche il grande progetto di Mosca (e di Bruxelles) era arrivare a una progressiva fusione fra Europa e Russia, con una divisione di compiti e di profitti: la Russia avrebbe provveduto alle materie prime e alla difesa; l'Europa avrebbe fornito tecnologia e produzione scientifica. Questo è stato, fin dai tempi di Yuri Andropov (master del Kgb e poi segretario generale) il progetto da inseguire anche a costo di una guerra lampo che avrebbe estromesso gli Stati Uniti dall'Europa.

La guerra fredda fu poi vinta dagli Stati Uniti di Ronald Reagan, dal Regno Unito di Margareth Thatcher e la Russia decadde da potenza globale a potenza regionale. Gli Stati Uniti decisero allora di andare a piantare nuovi paletti militari nell'ex impero nemico con impianti missilistici, basi militari e brigate miste di soldati americani e ungheresi, polacchi, baltici, ma anche inglesi. Questa inserzione americana in Nord e centro Europa è diventata per Putin una spina nel fianco: le forze armate russe, dopo aver mostrato la propria modernità e velocità con l'operazione in Siria, si esibiscono spesso in aria e sui mari provocando apertamente gli avversari atlantici con voli spericolati dei loro jet. Putin ha così dato di sé l'immagine di uno che si fa saltare la mosca al naso avendo alle sue spalle una nazione unita dopo i primi anni di dissidenza clamorosa ma minoritaria.

I russi sono forse il popolo più patriottico e nazionalista del mondo. La vittoria contro i tedeschi che avevano invaso nel 1941 la loro patria restata senza difese a causa della sistematica follia di Stalin che aveva fatto fuori quasi un milione di quadri militari per regolare i suoi conti interni, fu la vittoria di un intero popolo e non dei soli comunisti. Stalin che se ne rendeva ben conto decise di chiamare il secondo conflitto mondiale «Grande guerra patriottica». Oggi quel popolo sembra, salvo frange filooccidentali, sempre più unito dietro a Vladimir Putin che fornisce fulminanti esibizioni di forza come ha fatto in Siria e prima ancora in Ucraina, in Crimea e in Georgia. I tre possibili presidenti americani di domani, Trump, Clinton e Sanders hanno tre diversi atteggiamenti verso l'antica nemica e poi quasi amica e di nuovo nemica Russia. Per tradizione, i democratici come la Clinton sono di scuola più rigida verso i russi. Trump ostenta invece una cordialità di facciata e Sanders, troppo preso dalle questioni intere americane, vuole solo sganciarsi da ogni situazione conflittuale e lasciare che ognuno se la sbrighi senza contare sull'America.

Mancano poche settimane alle convenzioni che diranno quali saranno i due candidati finali e pochi mesi al verdetto di novembre. A quel punto i giochi saranno fatti e sapremo di più sul nostro destino senza poter far molto per modificarlo.

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