C'è chi si è scandalizzato perché Gianni Alemanno ha declamato in pubblico alcuni testi di Francesco Guccini, ma il cantautore di Pavana, l'anarchico per eccellenza della canzone d'autore italiana, è molto amato anche da un certo pubblico di destra. Fui portato in mezzo ai sanbabilini nei primi anni Settanta da due amici più grandi di me la cui fede fascista (e il cui curriculum) non poteva essere messa in discussione. Con loro due ascoltavo Primavera di Praga in cui Guccini inneggiava a Ian Huss e concludeva con «la città intera che muta lanciava una speranza nel cielo di Praga».
Guccini è un poeta e un cantore popolare e il suo nihilismo è estremamente trasversale. Si andava anche ai suoi concerti, quando si piazzava sul palco con la sua chitarra e il suo fiasco di vino, facendosi piccoli piccoli quando, durante La locomotiva, tuonava «trionfi la giustizia proletaria» e tutti all'unisono alzavano il pugno chiuso. Perché Guccini va oltre gli schieramenti e coi suoi testi scava nel personale, nei sentimenti condivisi. Chi non si è sentito coinvolto (e anche un po' spaventato) dalla frase ineguagliabile che conclude lettera dicendo: «come vedi tutto è usuale eppure il tempo stringe la borsa/ e c'è il sospetto che sia triviale l'affanno e l'ansimo dopo una corsa/l'ansia volgare del giorno dopo/la fine triste della partita/il lungo scorrere senza uno scopo/di quel qualcosa che chiami vita». Una chiusa che ti mette ko, ti fa sentire tutta la fragilità dell'essere umano. Perché è ateo, direte voi... ma provate ad ascoltare la dura cronaca de Il funerale, canzone che è quasi un film sulla morte intercalata dal «ritornello» «restò solo qualcosa che volò/nell'aria calma e poi svanì/per dove non sapremo mai»). Oramai poi, nel mondo d'oggi globalizzato, dove destra e sinistra sono etichette labili, guccini è valido per tutti. Lo diceva già qualche decennio fa Guccini con L'avvelenata (un brano che in realtà lui stesso non ha amato molto) quando dice «io tutto io niente io stronzo io ubriacone io poeta io buffone io anarchico io fascista/io ricco io senza soldi io radicale io diverso io uguale negro ebreo comunista/io frocio io perché canto so imbarcare/io vero io falso io genio io cretino/io solo qui alle quattro del mattino l'angoscia e un po' di vino vogliam di bestemmiare».
Alemanno ricorda che i giovani di destra si innamoravano con Lucio Battisti («pensando che fosse di destra mentre magari non lo era», dice lo stesso ex sindaco di Roma), però che poetico l'innamoramento improvviso gucciniano di Autogrill. E poi - da un altro punto di vista - come Guccini colpisce le donne che lo hanno ferito non c'è nessuno. Basti ascoltare la poetica Vedi cara o il finale di Quattro stracci dove intona «Io qui ti inchiodo a quei tuoi pensieri/quei quattro stracci in cui hai gettato l'ieri/persa a cercar per sempre quello che non c'è».
Insomma destra o sinistra sui sentimenti Guccini mette d'accordo tutti, e chi non si è mai sentito come Canzone di notte n.
2 («Eppure fa piacere a sera/andarsene per strade ed osterie vino e malincnie/e due canzoni fatte alla leggera/in cui gridando celi il desiderio che sian presi sul serio/il fatto che sei triste o che t'annoi/e tutti i dubbi tuoi») alzi la mano. Possibilmente aperta.
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