Quando riconosciamo nel cielo le forme delle nuvole, la nostra mente riconosce qualcosa di familiare e ci rimanda a un'immagine. Questo succede quando vediamo cose dietro a dei simboli: il fenomeno si chiama pareidolia. La pareidolia è una forma di apofenia. Per apofenia, invece, si intende più ampiamente, la percezione di collegamenti, di legami tra fenomeni che apparentemente non hanno alcuna relazione tra di loro. Questi collegamenti, queste connessioni, secondo Krause Conrad (colui che ha coniato il termine) sono accompagnati da una sensazione di «anormale significatività».
Ma perché parlare di apofenia e pareidolia? Perché molti hanno associato questi concetti alle emoticon. Come se fossero geroglifici moderni, le emoticon rimandano significati. La differenza tra la pareidolia e le emoticon sta nell'immediata e universale capacità che tutte le persone hanno di capirne il significato.
Oggi è il World Emoji Day, il giorno dedicato a quelle «faccine» colorate che usiamo tutti i giorni sui nostri smartphone e sui nostri computer. Ma c'è una differenza sostanziale: le emoticon sono segni grafici, frutto di unione in sequenza di segni di punteggiatura; le emoji, invece sono l'evoluzione disegnata delle emoticon.
Le emoticon sono state inventate da Scott Fahlman. Diffuse in tutto il mondo, sono un linguaggio internazionale e globale. In realtà, se pensiamo all'iconografia per esprimere concetti, ci possiamo accorgere che si tratta di un mezzo di comunicazione antico. In pratica, le prime forme di comunicazione scritta risalgono alle caverne: quando l'uomo rappresentava concetti in forma grafica.
Le emoticon rimandano a un'immagine istantanea, sono veloci e rapide, indicano stupore o contentezza, manifestano un'emozione. Il linguaggio scritto, spesso viene frainteso nell'immediato: è come se si ovviasse alla capacità di farsi capire. Le emoticon, se ci pensiamo, cercano di risolvere dei problemi di comunicazione: laddove la frase è un po' forte, metto un'emoticon che sorride per dire che quello che si sta scrivendo non è poi così serio.
Le «faccine» sorridenti si usano nella comunicazione mediata scritta. Tutti scrivono, messaggi: è più veloce, più comodo. Così facendo, però, la comunicazione diventa mediata (mediata appunto dalle parole scritte). Per evitare disguidi nella comprensione del testo ad occhi altrui, si usano le emoticon: metasegni carichi di significato. In molti casi, le emoticon salvano da fraintendimenti.
Nella comunicazione scritta non si possono esprimere concetti attraverso postura, tono di voce (elementi di comunicazione detti cinesici e
paralinguistici). Ed è qui che entrano in gioco le emoticon: servono ad esprimere emozioni e stato d'animo del momento in cui si scrive. Secondo l'Università del Michigan, l'emoticon più utilizzato è quello con il sorriso.
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