I t's the economy stupid, è l'economia stupido! Valeva come frase chiave della campagna elettorale di Clinton contro Bush nel 1992, e adesso fa un effetto secco quando si vede l'isterismo di Tayyp Erdogan di fronte al tracollo: il suo atteggiamento di continua minaccia interna e internazionale, la prepotenza che si trasforma in repressione senza pari, l'autoritarismo da sultano specie da quando ha vinto le elezioni il 24 giugno risultano irrilevanti o persino ridicole di fronte alla bancarotta. Si tratta di miliardi, ieri Erdogan ha capito che le sanzioni americane stanno veramente entrando in vigore, che l'inflazione è al 16% e cresce e la banca centrale non è capace di aumentare i tassi, che la moneta perde l'11,5% ogni giorno, che Trump ha deciso di alzare le tariffe sull'importazione di alluminio e di acciaio. La frana è incontenibile, la mitologia del leader islamista che può continuare a dialogare con l'Occidente approfittando della memoria storica dell'unico Paese musulmano moderato e collegato all'Occidente a fronte di un mondo arabo molto meno avanzato, si è infranto sulla crisi del capo.
Trump lo ha stretto in un angolo: Erdogan ieri assediato e terrorizzato dall'abbandono degli investitori internazionali ha chiesto, inerme se non di paroloni, una risposta alla sua gente: «Se avete dollari, euro o oro sotto il cuscino, cambiateli in lire turche. È una battaglia nazionale». Se l'è presa non solo con Trump ma anche con la «lobby dei tassi di interesse». Una delle tante teorie della cospirazione di chi ha già messo in galera decine di migliaia di supposti cospiratori contro il suo potere. E occorre tenere ben presente che considera questo potere divino. Sempre in tv ha esclamato: «Abbiamo la nostra gente, abbiamo il nostro diritto e abbiamo Allah». Come Ahmadinejad in Iran, Erdogan spinge molto avanti la sua immagine religiosa, legata alla Fratellanza Musulmana, fino a far dire e scrivere frasi in cui lo si è disegnato sfolgorante di un carisma che lo rende simile a Dio o forse Dio stesso. Molte citazioni descrivono un'aura mistica e un'emanazione di potere sacrosanto dalla sua persona.
La tradizione secolare della Turchia Erdogan l'ha spezzata aumentando il budget del «direttorato» religioso (un ministero con poteri potenziati) è arrivato a 2,5 miliardi di dollari mentre il ministero degli Esteri ne ha 636 milioni. Il direttorato ha la funzione di gestire l'allargarsi a macchia d'olio del giogo religioso, dall'abbigliamento allo stile di vita, alla libertà di espressione. La gestione dei soldi la decide il capo, e in queste ore quello che promette al popolo una svolta economica risolutiva è il ministro delle Finanze che è anche il genero di Erdogan, Berat Albayrak, destinato a un'esplicita espansione del potere del ministero. La crisi con gli americani è nata sull'onda della detenzione del pastore americano Andrew Brunson, detenuto oramai da due anni, accusato dal regime turco di aver cospirato contro il governo e vista invece in America come una forma di persecuzione religiosa.
Le richieste di liberazione dell'americano sono state definite da Erdogan «evangeliste e sioniste». Trump ha reagito con le sanzioni.Lo scontro può portare gravi danni al favoleggiato rapporto con l'Islam? In realtà no, perché quello l'ha già distrutto Erdogan col suo comportamento.
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