Ci sono gli «amici» austriaci, come li chiamava il ministro dell'Interno Matteo Salvini (prima che da alleati per frenare l'immigrazione incontrollata mandassero i blindati alla frontiera con l'Italia). Ci sono gli ungheresi di Viktor Orban, esponente di quel blocco di Visegrad con cui il segretario del Carroccio sperava di avere sponda sull'immigrazione: «Le regole dell'Unione europea ci sono e vanno rispettate». Ci sono gli olandesi, i francesi, i tedeschi. Gli estoni. Gli spagnoli. Ci sono praticamente tutti i Paesi europei a sostegno della procedura di infrazione contro il nostro. Che si trova dall'altra parte del banco, sulla sedia dell'imputato, da solo. Isolato anche da quegli stessi Stati con cui il governo gialloverde coltivava un'intesa per cambiare le regole europee, perfino dalle destre anti-europee del Nord. Tutti spaventati dall'incubo contagio. Al punto che è in cantiere il progetto di una rete di protezione comunitaria da un'eventuale crisi italiana.
Così l'iniziale simpatia manifestata da Angela Merkel per il premier Giuseppe Conte si è tramutata in una presa di distanza sui conti italiani. Pur lasciando aperto il dialogo la cancelliera tedesca ha richiamato alla «responsabilità»: «L'Italia è un Paese fondatore, ha deciso con tutti gli altri Stati regole che sono adesso la base giuridica dell'Unione, non possiamo semplicemente dire che adesso a qualcuno questo non interessa più». La Merkel, già alle prese con il calo della sua Cdu e le difficoltà interne, non può permettersi di lasciare che sotto il ultimo mandato passi un «condono» tutto italiano alle regole comunitarie. Infatti insieme con il presidente francese, Emmanuel Macron, ormai lontanissimo dal governo grilloleghista, sta lavorando al bilancio unico dell'Eurozona, in cui destinare risorse solo ai Paesi che rispettano le regole. Con l'infrazione, sarebbe esclusa l'Italia.
I liberali olandesi dell'Alde, alleati con Macron alle prossime europee, chiedono un dibattito in aula sul caso italiano: «I partiti populisti che compongono il governo stanno mettendo la politica euroscettica al di sopra degli interessi economici sia del popolo italiano che della più ampia zona euro».
Ecco così che il presidente dell'eurogruppo, il portoghese, Mario Centeno si ritrova in linea con gli Stati del nord come Irlanda e i Paesi Baltici, che vogliono rigore. Nemmeno Spagna e Irlanda ne vogliono sapere delle richieste di Roma, loro che per primi hanno dovuto subire le cure europee sui conti pubblici. D'altro canto la commissione Ue crede che rinunciare a una procedura di infrazione significhi fare differenze con gli altri membri dell'eurozona. Innescando un effetto domino. La spiega così il ministro delle Finanze austriaco, il popolare HartwigLoeger: «Più che mai dobbiamo pretendere disciplina da Roma, non si tratta solo di una questione italiana, ma di una questione europea. L'Italia corre il rischio di scivolare verso uno scenario greco». Lo spettro oggi è quello di un virus tricolore che possa infettare il resto dell'Europa, a differenza del 2011 quando ci furono più focolai di crisi.
«Quando si è nella famiglia dell'eurozona, bisogna rispettare regole che noi stessi ci siamo dati», ha detto l'estone Andrus Ansip, vicepresidente della Commissione europea per il mercato digitale. «Fare debito con i soldi dei contribuenti non è un'idea intelligente».
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