Europa, crescita, tagli e lavoro Le quattro paure del premier

Finora Renzi ha bluffato, ma non ha i numeri: né quelli personali da statista né quelli delle coperture economiche né quelli della maggioranza di governo

Europa, crescita, tagli e lavoro Le quattro paure del premier

Renzi in un mare di guai. Su tutti i fronti: 1) quello della crescita, su cui ha basato tutta la politica economica del suo governo, se mai ce ne fosse stata una; 2) quello del mercato del lavoro, i cui numeri ballerini e bugiardi sbandierati ogni mese dal ministero di Poletti sono stati smentiti dal ministro stesso, dopo le gravi perplessità espresse pubblicamente dal presidente dell'Istat; 3) quello della spending review, per cui si rischia di licenziare l'ennesimo “commissario”: il deputato Yoram Gutgeld, che da marzo ha il compito di tagliare la spesa pubblica, ma che ad oggi non ha prodotto una sola pagina di documento ufficiale; 4) quello dell'Europa, con il piatto di lenticchie della flessibilità del deficit dal quale dovrebbero derivare, stando ai piani del governo, gran parte delle coperture dei provvedimenti economici che il presidente (si fa per dire) del Consiglio ha annunciato.

E con questi chiari di luna, Renzi pensa che gli italiani gli credano quando lancia il suo fantasmagorico piano di riduzione delle tasse?

Ma andiamo con ordine:

A Con riferimento alla crescita del Pil, il governo è proprio partito con il piede sbagliato, e in questo ha stupito molto, in negativo, la posizione del ministro dell'Economia, professor Padoan. Nei documenti di finanza pubblica che circolano in queste settimane, infatti, pare siano stati inseriti, a copertura delle misure di natura economica che l'esecutivo intende varare, gli effetti positivi sui conti dello Stato, in particolare sulle entrate tributarie, che deriverebbero da quelle stesse misure che la crescita dovrebbe finanziare. La ripresa del ciclo, insomma, allo stesso tempo fonte di finanziamento e risultato economico dei provvedimenti del governo. Errore da matita blu inescusabile, ovvero banale specchietto per le allodole.

Ma non finisce qui. Nelle ultime settimane si susseguono le revisioni al ribasso delle stime di crescita del Pil del nostro paese: nel 2016 non arriverà all'1%, a fronte dell'1,4% previsto dal governo nel Documento di economia e finanza; e anche per il 2015 confermare lo 0,7% su cui sono basati tutti i calcoli del governo sarà difficile. Tanto più che questo numero, tanto pubblicizzato dal governo, perde di significato se visto alla luce del contesto europeo e internazionale.

Nel confronto europeo, infatti, in termini di crescita del Pil l'Italia è quart'ultima. Peggio di noi nell'Eurozona fanno solo Grecia e Cipro, le cui vicissitudini conosciamo, e Finlandia, l'eccezione che conferma la regola. Se ciò non bastasse, quello 0,7% cui tiene tanto il governo, un po' obiettivo (modesto), un po' trofeo (scarso) di Matteo Renzi, è pari a meno della metà della crescita dell'Eurozona, stimata attualmente all'1,6% per il 2015.

Sul piano internazionale, poi, se l'anno si chiuderà davvero a +0,7%, che, come abbiamo visto, è comunque un risultato fallimentare, allora vorrà dire che il governo avrà perso la grande occasione positiva dell' «allineamento astrale», come ebbe a definirlo François Hollande, mai visto in passato: svalutazione dell'euro, crollo del prezzo del greggio e Quantitative easing della Bce. Se l'Italia, cioè, riesce a fare solo 0,7% avendo tutte le condizioni esterne a proprio favore, cosa succederà quando le esogene positive verranno meno?

B Della spending review del governo Renzi, se mai è esistita, si sono perse le tracce. Proprio a causa dei fallimenti in questo campo, sul bilancio dello Stato incombono clausole di salvaguardia che significano aumenti di accise e Iva, per circa 73 miliardi di euro tra il 2016 e il 2018. In più il presidente (si fa per dire) del Consiglio, dovrà trovare altri 4-5 miliardi per il rinnovo dei contratti della Pubblica amministrazione, e circa 6 miliardi se è vero, come ha segnalato la Corte dei conti, che i risparmi derivanti, secondo la fantasia del governo, dalla sedicente abolizione delle Province difficilmente saranno realizzati. Ne deriva che se Renzi vuole davvero abbassare le tasse di 50 miliardi in 3 anni, nello stesso arco temporale gli servono circa 120-130 miliardi di coperture.

Non solo: Il presidente (si fa per dire) del Consiglio dimentica che le norme che porteranno all'applicazione automatica delle clausole di salvaguardia, vale a dire, ripetiamo, l'aumento di accise e Iva, quest'ultima fino al 25,5% nel 2018, sono già in vigore in quanto contenute nell'ultima legge di Stabilità, mentre delle coperture alternative sbandierate da Renzi non v'è certezza. Né su quanto consentiranno davvero di realizzare, né sul quando. E non si possono finanziare spese certe con risorse incerte, come prescrive la Ragioneria Generale dello Stato. Vero, Daniele Franco?

Per avere risparmi di spesa già nel 2015, infine, come vorrebbe il governo, restano solo quattro mesi, da settembre a dicembre: mancano dunque i tempi tecnici. I proclami di Renzi non sono perciò obiettivamente credibili. Ed è questo che probabilmente intende il ministro Padoan quando, tristemente, ritornato per pochi minuti nel suo ruolo di professore, dice che «serve un orizzonte medio-lungo». De profundis per Renzi.

C Mercato del lavoro. Preso dalla necessità di dare numeri positivi sempre, il nostro presidente del Consiglio sta creando tanta confusione e sta facendo male alla reputazione del Paese. Sarebbe ora, quindi, di finirla con questo orgasmo da numeri, con questa voglia di dare solo segnali di bel tempo mentre piove, con questo mettere in mano a burocrati apprendisti stregoni numeri delicati. L'Istat si riappropri delle sue funzioni e il Parlamento chieda la supervisione sui numeri del mercato del lavoro.

Perché sono i numeri (disoccupazione: 12,7%; disoccupazione giovanile: 44,2%) a inchiodare Renzi. La teoria economica, d'altronde, lo spiega bene: con un tasso di crescita dell'economia abbondantemente sotto il 2%, non si creano posti di lavoro, ma si distruggono, in quanto la maggior domanda è soddisfatta dall'aumento della produttività dei lavoratori già occupati. Senza bisogno di nuove assunzioni. È, invece, quando il tasso di crescita dell'economia supera stabilmente il 2% (per almeno quattro trimestri consecutivi) che si creano nuove opportunità di lavoro, in quanto l'aumento della produttività non è più sufficiente a produrre quanto il mercato chiede.

Nella fase in cui si trova l'Italia oggi, dopo 7 anni di crescita zero o sotto zero, continua dunque la distruzione di posti di lavoro, e non sono la droga dei 2 miliardi di sgravi alle imprese a crearne di nuovi. Al massimo se ne modifica la composizione, da posti di lavoro a termine a posti di lavoro a tutele crescenti, una partita di giro o di raggiro che genera solo pericolosi buchi contributivi nelle casse dello Stato.

D Europa. Altro errore da matita blu del governo: il solito vizio di inserire, come finanziamento di spese certe, risorse incerte (l'agognata flessibilità sui vincoli di bilancio), tanto negli importi quanto nella tempistica. Davvero Renzi pensa ancora di strappare alla Commissione europea qualche ulteriore decimale di deficit? La cosa appare quanto mai dubbia: abbiamo già avuto da Bruxelles tutte le aperture di credito possibili e immaginabili, fino a spingere il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, a proporre di rivedere il ruolo della Commissione europea, che sta assumendo, a suo dire, una funzione sempre più politica, senza alcun rigore. Inoltre, con il debito pubblico che ci troviamo, secondo nell'Eurozona solo alla Grecia, nessuna «clausola degli investimenti», vale a dire la possibilità di scomputare questi ultimi dal calcolo dei parametri di Maastricht, sarà concessa al nostro Paese.

Ultima chicca da disperato: Renzi dice che taglierà Tasi e Imu. Ma non ha né i soldi né la copertura politica a sinistra per farlo. Ci sarebbe da ridere se la cosa non fosse da piangere.

Un quadrifoglio della paura dunque, cui va aggiunto il trappolone delle prossime settimane sulla riforma costituzionale del bicameralismo paritario, trappolone che gli sta preparando da mesi la sua sinistra di partito. Come abbiamo visto, Renzi non ha i numeri, non li ha mai avuti, né quelli personali di statista, né quelli dell'economia, né quelli della maggioranza di governo.

Finora ha giocato una partita spudorata, ma oggi gli italiani hanno capito che il Re è nudo. Se ne faccia una ragione e tolga il disturbo, senza infliggere ulteriori insulti alla democrazia e all'intelligenza del nostro Paese. Altro che Renzi 2.

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