Le mani di Cosa nostra sull'Expo. Sul padiglione della Francia, sulla passerella, sui presidi della Guinea Equatoriale, del Qatar, di altri Paesi e sponsor. Pare una fiction è la realtà che sfregia il tanto celebrato modello Milano. E non tanto per il risvolto penale, pure corposo, con l'arresto di 11 persone, tutte però estranee al circuito di Fiera-Expo. Ma per il contesto, per l'assenza disarmante di controlli, per il fatto, sottolineato dal pm Paolo Storari in conferenza stampa, «che i codici etici fossero solo carta e ancora carta che rimaneva lì». E Ilda Boccassini, che ha coordinato l'inchiesta in cui si contesta l'associazione a delinquere con l'aggravante della finalità mafiosa, rimarca con un sorriso disincantato che «nella storia della repubblica italiana non è cambiato mai nulla».
E così alla fine della catena troviamo gli affidamenti diretti, come li chiamano i magistrati, che la Nolostand, società controllata da Fiera Milano spa, dà all'oscuro consorzio Dominus Scarl per montare e smontare alcuni padiglioni di Expo. E ci imbattiamo in un lessico conosciuto da chi scava nei rapporti fra criminalità organizzata e criminalità economica: le cartiere che producono false fatture, i prestanome, i doppi fondi a casa degli indagati per nascondere il denaro nero. E lo sconcertante scivolone dell'avvocato Danilo Tipo, stimato ex presidente della Camera penale di Caltanissetta oggi in manette, che viene fermato con 300mila euro e si giustifica serafico: «È una parcella in nero che non c'entra con questa storia».
Il consorzio Dominus, specializzato sulla carta nell'allestimento di stand, fattura 20 milioni in tre anni, soldi che i due protagonisti di questa storia, Giuseppe Nastasi e Liborio Pace, fanno girare, dopo aver evaso tutte le tasse possibili, anche verso i forzieri siciliani di Cosa nostra. E le famiglie di Pietraperzia e Castelvetrano, il «regno» del boss dei boss Matteo Messina Denaro. «Un fenomeno inquietante», lo definisce il procuratore capo Francesco Greco.
Vengono i brividi e ci si chiede cosa sarebbe successo se l'inchiesta fosse emersa prima del ballottaggio fra Stefano Parisi e Giuseppe Sala che di Expo è stato il commissario unico. I tempi però non c'erano. La Boccassini aveva chiesto le manette tre-quattro mesi fa, ma una malattia del gip ha allungato i tempi di qualche settimana.
L'inchiesta è partita su segnalazione dei carabinieri di Rho più di un anno fa e non ha portato, ripete Boccassini, almeno per ora, a individuare «responsabilità penali all'interno dell'ente Fiera e nella società Expo». E però è evidente il disagio del procuratore aggiunto che parla di «sciatteria, superficialità, negligenza». I dirigenti di Nolostand trattavano a occhi chiusi con Pace e Nastasi ed evidentemente ignoravano tutti i segnali che avrebbero consigliato molta, molta prudenza. «Fra l'altro - spiega Storari - in Fiera era arrivata una lettera anonima che diceva senza tanti giri di parole: Nastasi è un mafioso. Ma la lettera finì nel cestino».
E così, dettaglio che oggi appare surreale, Nastasi aveva tranquillamente un ufficio in Fiera. E lui e Pace riuscirono nel luglio dell'anno scorso a incontrare il nuovo amministratore delegato di Fiera Milano Corrado Peraboni. Sarebbe stato sufficiente seguire il codice etico: «L'amministratore legale di Dominus è il padre di Nastasi, Calogero, che ha 71 anni e vive a Pietraperzia ma i dirigenti di Nolostand trattavano con il figlio che non è neanche un dipendente della società».
È un quadro davvero deprimente quello che esce dalle indagini.
Anche se gli intercettati sembrano temere il presidente dell'Anac Raffaele Cantone: «Li ha messi tutti in fila». Le infiltrazioni mafiose vanno avanti come e più di prima. I cronisti vorrebbero capire meglio, ma Greco li stoppa: «State facendo politica». E congeda tutti quanti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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