Roma - «Dentro 'sta piazza s'affaccia 'n palazzone/ co' le colonne bianche come er Cupolone/ cor portone 'mponente come 'na cattedrale/ co' lo scalone de marmo come er Quirinale». Salvatore Panetta, operaio del Poligrafico, in quel gigantesco edificio liberty di piazza Verdi ci aveva lavorato quasi mezzo secolo. Così nel 2010, quando lo chiusero e trasferirono la zecca in periferia, gli venne di getto da scrivere un sonetto. «Mo da 'sto posto ci hanno mannato via/ qua dove 'un giorno c'era 'na tipografia. Si c'entri adesso so' tutti spariti/ sembra 'n cimitero co l'arberi pizzuti».Chissà adesso la nostalgia e i rimpianti dell'operaio-poeta, ora che il «palazzo della lira» diventerà un albergo extralusso. Quella del Poligrafico è una storia lunga e travagliata, che nasce più di cent'anni fa. Roma era da poco la capitale d'Italia e le uniche strutture esistenti o risalivano all'impero romano o erano del Vaticano. I piemontesi lanciarono un vasto piano urbanistico che comportò la distruzione di interi quartieri medievali ma anche la costruzione dei futuri palazzi del potere. I ministeri di via Venti Settembre, il Vittoriano, Palazzo Koch, sede della Banca d'Italia, l'ampliamento di Palazzo Montecitorio, affidato a Ernesto Basile, per ospitare il Parlamento, la galleria Colonna, la Cassa di Risparmio di piazza Dante, piazza Vittorio, le grandi arterie umbertine sul modello dei boulevard parigini. E, appunto, l'edificio di piazza Verdi.Come architetto fu chiamato il vicentino Garibaldi Burba, che aveva già realizzato alcune ville nella zona Salario-Parioli. I lavori iniziarono nel 1913 ma s'interruppero presto per lo scoppio della prima guerra mondiale. Ripresero nel 1918 e si fermarono di nuovo per la morte dell'architetto. Il progetto di Burba era imponente. Una facciata lunga 150 metri che occupava tutta la piazza, un ampio e tozzo colonnato, grandi altezze interne, vetrate, una pianta rettangolare.
L'impronta era quella del decorativismo dell'epoca, tra il floreale-barocco e l'eclettismo in stile francese. Pesante forse, eccessivo, ma in quel periodo era di moda costruire così.A finire l'opera ci pensò l'architetto Arturo Larderer, che non si distaccò troppo dal progetto originario. Il palazzo inizialmente era stato concepito come sede degli uffici della Corte dei Conti ma, strada facendo, diventò la nuova zecca, sostituendo il vecchio poligrafico di via Principe Umberto. Con una solenne cerimonia, alla presenza di Benito Mussolini, la Regia Officina Carta e Valori fu finalmente inaugurata nel 1928. Era nato, come lo definì lo storico dell'urbanistica Giuseppe Stroppa, «l'ultimo grande monumento allo Stato unitario».Per piazza Verdi è transitata pure la storia della nostra lira. Poi, nel 2010, la decisione di abbandonare l'edificio di Burba e di trasferire in poligrafico sulla Salaria. A luglio una serie di mostre, concerti e altre iniziative ha «festeggiato» la dismissione del palazzo. I lavori per il nuovo albergo sono già partiti e dovrebbero concludersi nel giugno del 2018. Ma gli abitanti del quartiere sono in rivolta per il rumore, per le strade chiuse e per la mancanza di posti auto.
Il poeta Panetta invece si lamenta per un altro motivo. «Che ne sanno 'sti politici 'ncollati alle portrone/ pe' quattro sordi non hanno venduto solo 'un palazzone/ ma tutto quello che nell'anno c'è passato/ l'arte, er lavoro e tutta la storia che ci hanno lassato».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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