Il David di Michelangelo offende la morale di Facebook, la bestemmia no. I bimbi che mimano la crocifissione in una campagna anti abusi sono da «bannare», la pagina che invita a violentare la Madonna è sacra libertà d'espressione. C'è da impazzire a cercare una logica in queste scelte già (giustamente) al centro di polemiche.
Il puzzle si è complicato ulteriormente ieri, dopo che lo staff del leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni ha segnalato al social network una pagina intitolata a una bestemmia contro Dio. La risposta di Facebook: «Grazie per la segnalazione, ma la pagina rispetta gli standard della comunità», mancando «discorsi o simboli di incitazione all'odio». Giorgia Meloni ha replicato di pancia «bannando» Zuckerberg: «La tua comunità non sarà mai la mia perché a casa mia il rispetto si porta a tutti non solo a lobby e a gruppi di potere».
Eppure gli imperatori del web per molti sono paladini delle libertà. Zuckerberg si vanta di non avere cancellato una pagina ritenuta offensiva da un estremista islamico in Pakistan, dimenticando che in Europa, prima della strage, le vignette di Charlie Hebdo furono rimosse. Verrebbe voglia di credere che è un sistema automatico a vagliare a vanvera i contenuti, un algoritmo fallace, ma Laura Bononcini, Head of Public Policy di Facebook, ha sbandierato che «ci sono centinaia di persone che controllano segnalazioni di violazioni che arrivano dai nostri utenti».
Intanto curiosamente, ci si indigna per l'ultimo dei blogger denunciati per diffamazione, ma si lascia che sia una specie di call center a decidere cosa si può scrivere e non scrivere su una delle bacheche più lette del pianeta. Per di più lo stesso Zuckerberg ammette di «venire a patti con i governi». Come dire, con i dittatori si discute, con le democrazie decidiamo noi.
Anche se in Italia la bestemmia, pur depenalizzata, è punita con una multa. Docenti di diritto, aggiornate la gerarchia delle fonti: ora le «linee guida» di Mister Facebook valgono più delle leggi.Twitter: @giuseppemarino_
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