La verità si può afferrare: come si possono afferrare i polsi di un uomo, tenendolo sospeso sul precipizio, e poi lasciandolo andare a schiantarsi venti metri più in basso. Quell'uomo si chiamava David Rossi, e da quattro anni il suo fantasma agita i sonni di una città. La Siena del potere secolare, che quella morte vuole archiviare per sempre insieme alla stagione dell'onta, delle porcherie venute a galla e che l'hanno travolta. Ma anche della città che vuole sapere, della folla incredibile che ieri sera invade Palazzo Patrizi per la presentazione di un libro sul «suicidio imperfetto» del portavoce di Mps.
L'immagine di Rossi, sospeso nel vuoto, fuori dalla finestra del terzo piano di Palazzo Salimbeni, sede del Monte dei Paschi e cuore della città, esce vivida dal documento che ieri fa irruzione nella scena. Subissata dalle accuse, imputata di avere affossato le indagini per coprire un circuito di perversione e di festini, la Procura senese fa una mossa a sorpresa: mette in rete un atto giudiziario, l'ordinanza con cui nel luglio scorso il giudice Roberta Malavasi archiviò per la seconda volta le indagini sulla morte di Rossi. È una mossa intelligente, quella del procuratore Salvatore Vitello, perché a una lettura veloce le 58 pagine dell'ordinanza appaiono solide, e si prestano a fare piazza pulita di molti dubbi: persino l'inverosimile comportamento dei due colleghi di Rossi, che nel vicolo Monte Pio si accostano al corpo dell'amico e se ne vanno senza fare nulla, assume una spiegazione. Ma è anche una mossa disperata, quella di Vitello. Perché nella stessa sentenza, infrattate tra le righe, saltano fuori due conferme a quanto in città si dice da quattro anni. La prima è che le indagini sono state fatte con sciatteria ingiustificabile: tanto che ora il nuovo giudice deve fornire una ricostruzione dei fatti radicalmente diversa da quella che un suo collega firmò il 5 marzo 2014, quando per la prima volta l'inchiesta venne affossata: a partire dall'agonia di Rossi al suolo, che secondo il primo giudice - supportato dai medici legali - durava pochi attimi, e che ora si scopre protratta per venti interminabili minuti. Seconda conferma: la versione del suicidio ha una falla, un elemento inspiegabile. Lo dice lo stesso giudice Malavasi a pagina 55: le tracce di sfregamento lasciate dall'orologio sul polso di Rossi sono incompatibili col volo dalla finestra e invece del tutto spiegabili con la scena dell'uomo, tramortito da un colpo alla testa, che viene tenuto oltre il davanzale, e poi precipita quasi all'inpiedi: «suggerendo piuttosto l'intervento di una azione di trascinamento dell'orologio dall'avambraccio verso la mano, compatibile con un afferramento, seguito da un trascinamento o da una sospensione».
Da chi, per conto di chi, per coprire cosa? Su questo Siena si interroga da quattro anni, sospesa tra la rozza chiacchiera popolare, «erano tutti finocchi», e la dietrologia del grande complotto finanziario, dei santuari inviolabili che temevano il pentimento annunciato di David Rossi, del numero di conto allo Ior del Vaticano che il presunto suicida digita prima di morire. Ora il j'accuse di Piccini chiude in qualche modo il cerchio, perché accomuna le due piste in una sola, racconta di una «storia parallela» dove politica e massoni, potere e sesso si incontrano in un solo sistema di potere: ed è un'accusa forte, perché viene da un uomo che del sistema di potere senese ha fatto parte per anni. E che racconta come anche nella sacralità di una assemblea della banca un consigliere comunale si fosse alzato per denunciare le manovre di «personaggi orgiastici e pervertiti».
«La Procura in fondo non ha colpe, perché in quel mondo nessuno può andare a scavare», dice un senese che queste storie le conosce bene. Ma più che di sudditanza ora sulla magistratura locale viene calata un'ombra di collusione piena col sistema di potere, anche nei suoi lati più inconfessabili. In fondo anche questo riprende gossip che girano da tempo, con financo l'indirizzo della villa dove i «personaggi orgiastici» avrebbero compiuto le loro gesta. Non è con le chiacchiere da bar che si fanno le inchieste giudiziarie, certo. Ma ora la procura di Genova nell'inchiesta ter, dovrà per forza ricostruire il percorso delle voci, partendo dalla avvocatessa romana (sposata ad un ex dei servizi segreti) che l'ex sindaco Piccini indica come sua fonte. È un terreno delicato, perché va inevitabilmente a lambire la figura della vittima di questa storia.
Cosa sapeva David Rossi del circuito oscuro di Siena? Anche di questo voleva parlare con i giudici? Ieri sera, davanti a un'intera città arrivata ad ascoltare la storia del «suicidio imperfetto» raccontata nel libro del giornalista Davide Vecchi la moglie Antonella va giù piatta: «Di queste cose David non mi ha mai parlato. Neanche come pettegolezzo».
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