Dopo un quarto di secolo di furibonde polemiche e roboanti annunci di riforma, la montagna ha partorito il topolino: è pronto finalmente il decreto legislativo che regolerà la materia incandescente delle intercettazioni e limiterà, spiega la coppia Gentiloni-Orlando, gli abusi. Ma i toni enfatici sembrano fuori luogo. Tanto per cominciare, l'iter interminabile del testo governativo non è ancora finito: il decreto verrà esaminato dalle Commissioni giustizia di Camera e Senato che esprimeranno il loro parere e, dunque, i ritocchi e i ripensamenti sono sempre possibili.
Ma in ogni caso l'estenuante mediazione fra le diverse proposte e il tentativo di bilanciare le contrastanti esigenze hanno finito con l'annacquare i concetti. L'obiettivo è quello di fissare paletti di civiltà e impedire la pubblicazione di pagine che con l'inchiesta non c'entrano. La bussola diventa quella della rilevanza penale: se un dialogo è irrilevante anche se gustosissimo e appetibile dai media deve rimanere blindato. Anzi, non potrà nemmeno essere trascritto. Per rafforzare la svolta, la nuova legge prevede che gli stessi pm e i giudici non possano più mettere in pagina, nei loro provvedimenti, intercettazioni a pacchi, come è sempre avvenuto fra lo scandalo dei giuristi e l'euforia della claque giacobina. D'ora in poi si dovranno selezionare i brani «essenziali». Quelli e solo quelli potranno essere dati in pasto ai lettori.
Il passo in avanti c'è, ma più sulla carta che nella sostanza: conoscendo il bizantinismo delle leggi italiane è lecito essere pessimisti. Il meccanismo messo in piedi si presenta suggestivo nella formulazione ma farraginoso nella declinazione, perché lascia troppo spazio alla discrezionalità degli operatori. Spiega il ministro Andrea Orlando: «Vi è un primo vaglio della polizia giudiziaria, sotto il controllo del magistrato che conduce le indagini, per togliere ciò che non è penalmente rilevante». Perfetto, ma dove passa la linea di confine? Ancora di più nella fase concitata e mai lineare delle indagini in cui non ci sono certezze. «Il secondo passaggio - aggiunge Orlando addentrandosi dentro un vero labirinto - è il vaglio del magistrato e, se necessario, è previsto anche il contraddittorio con la difesa per verificare cosa è rilevante o no. L' ultima parola spetta poi al giudice terzo». Tre, se non quattro laboriosi passaggi per non fare torto a nessuno e salvaguardare il sacrosanto diritto all'informazione. Funzionerà? «Il provvedimento che abbiamo approvato - insiste Orlando - non restringe la possibilità dei magistrati di utilizzare le intercettazioni, non interviene sulla libertà di stampa e sul diritto di cronaca, interviene solo su come vengono selezionate le intercettazioni». Basterà per frenare il flusso incontrollato che va avanti da Mani pulite? «Temo di no - risponde Nicola Madia, avvocato e assegnista di diritto penale all'università di Tor Vergata - la norma è contorta e genererà innumerevoli contenziosi. Molti Paesi europei hanno scelto una via più drastica e netta, quella che blocca la divulgazione, almeno fino a un certo punto del procedimento».
Il premier Paolo Gentiloni la pensa diversamente: «Abbiamo trovato una soluzione giusta ed equilibrata». Presso l'ufficio del pm viene istituito un archivio riservato delle intercettazioni la cui «direzione» e «sorveglianza» sono affidate al procuratore della Repubblica.
Ulteriore sbarramento, l'accesso alla stanza segreta sarà consentito solo a giudici, difensori e ausiliari autorizzati, con registrazione della data e dell'ora di ingresso. L'intento è lodevole, ma è facile scommettere: il succulento mangime avvelenerà ancora l'opinione pubblica.
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