Fincantieri, miliardi in fumo Ora il governo corre ai ripari

L'azienda messa sotto sequestro dai giudici rischia di finire in una voragine di debiti. Serracchiani: "C'è l'accordo, non è un'altra Ilva"

Fincantieri, miliardi in fumo Ora il governo corre ai ripari

Tempi rapidi. E la promessa che no, Fincantieri «non sarà un altro caso Ilva, faremo in modo che non lo sia». La boccata d'ossigeno arriva nel tardo pomeriggio, al termine del vertice urgente convocato al Mise per scongiurare il protrarsi della chiusura del cantiere di Monfalcone a seguito del sequestro preventivo disposto dal Tribunale di Gorizia per una presunta gestione non autorizzata degli scarti di lavorazione delle navi. Al tavolo del ministero di Federica Guidi - con il ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti, la presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani e l'ad Giuseppe Bono - basta poco per capire che si tratta di «un problema tipicamente amministrativo», e che i depositi di residui di moquette e plastica finiti nel mirino dei magistrati non mettono «in discussione la difesa dell'ambiente o la sicurezza dei lavoratori». Se non si parla di decreto, di «un percorso che porterà in tempi ragionevoli ad una soluzione coerente con la normativa europea e con il ripristino dell'attività produttiva dello stabilimento», questo sì. «Siamo assolutamente fiduciosi - commenta Serracchiani - abbiamo condiviso un percorso che auspico possa portare a una soluzione per la ripresa dell'attività produttiva in breve termine». Quanto basta a Giuseppe Bono per tirare un sospiro di sollievo.

Il gruppo ha appena incassato una nuova commessa da 1,1 miliardi con Finmeccanica per la costruzione di un'unità anfibia della flotta della Marina, lui ringrazia il governo «per aver preso a cuore la vicenda» e avverte che «io il mio dovere l'ho fatto. Poi se non posso fare il mio lavoro non è un problema solo mio ma è un problema di tutti». Eccome se lo è. Perché ogni ora che passa trasforma la paralisi produttiva di Monfalcone in un incubo e in una voragine economica. Tre giorni sono tollerabili, una settimana è già troppo. Un mese, quello no. Sarebbe devastante. Ieri mattina sono tornati al lavoro soltanto 150 dipendenti amministrativi, perché sul golfo di Panzano ha sede anche la testa contabile dell'intero Gruppo, e se oggi i sindacati chiederanno la cassa integrazione per i 1.600 dipendenti diretti di Fincantieri, per gli altri 3.400 delle ditte appaltatrici il futuro è incerto. Perché la clessidra che scorre suona anche la condanna a morte delle quattrocento e oltre piccole e medie imprese d'indotto che solo in Friuli Venezia Giulia vivono grazie al colosso cantieristico - tre mila in tutta Italia per un giro d'affari di un miliardo e mezzo - La liquidità scarseggia, e se l'agonia dovesse prolungarsi molte sarebbero costrette a dover portare i libri in tribunale. E poi ci sono quelle penali milionarie che incombono sulla consegna delle navi, dove ogni giorno di ritardo è una perdita che non sarebbe «nemmeno quantificabile».

Ci risiamo con il solito paradosso all'italiana, ma lo scherzo è bello se dura poco. Gli armatori stanno a guardare, ma rizzano le antenne. Chi glielo dice che i loro gioielli della crocieristica potrebbero ritardare nel caso questa figuraccia dovesse andare per le lunghe. Millimetriche, infatti, le clausole dettate nei contratti dalle maxi commesse navali. Ma Fincantieri è fiduciosa, perché per la consegna della Carnival Vista, della Princess Cruise e di Msc Seaside i tempi sono ancora dilatati, la prima è ad aprile 2016, e c'è lo spazio, anche se strettissimo, per recuperare.

Seaside sarà consegnata a novembre 2017, mentre il varo è previsto due mesi più tardi a Miami. «Stiamo in contatto continuo con i nostri armatori - assicura la società - ci seguono con attenzione, ma non c'è stato alcun allarme».

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