Roma - Macché intesa, ma quale tregua. La trattativa con la sinistra del Pd sul nuovo Senato pareva chiusa, la riforma Boschi sembrava ormai al sicuro, il Pd pacificato, il governo in salvo. Invece ecco che Pier Luigi Bersani fa tornare tutto in alto mare: «Non c'è nessun accordo, io non ho avuto nessun contatto diretto. Ripeto da tre mesi la stessa cosa, i senatori devono essere eletti dai cittadini, e da lì non mi sposto». E non basta, l'ex segretario chiede pure di «riflettere sulle funzioni» della nuova Camera delle Regioni. Parole dure, di chiusura, che spingono Maria Elena Boschi a una replica altrettanto aspra, da prendere o lasciare. «Sì al dialogo, ma no ai veti da parte della minoranza. Ridurre il dibattito alla modalità di elezione dei senatori svilisce il senso di una riforma storica. Non si può rimettere tutto in discussione per un singolo comma». Il ministro vuole concludere «entro il 15». È l'ultima chiamata, altrimenti «si rischia di consegnare il Paese al M5S e alla Lega».
La pace interna è durata lo spazio di 49 ore. Adesso rivolano gli stracci, anche se le frasi di Bersani vanno rilette in controluce. «Io non voglio una rottura - spiega l'ex segretario al Corriere della Sera - non ho mai rotto e non romperò nemmeno questa volta. Anzi, quel che temo è che stiano loro cercando pretesti». Poi in serata precisa: «Se e vero che c'è la disponibilità sull'articolo 2 per riuscire ad affermare che decidono gli elettori, allora per trovare l'accordo allora basta un millimetro». Quanto ai numeri, aveva invece ribadito sulle colonne del Corriere , Renzi decida «se vogliono riformare la Costituzione con noi o con Verdini».
Un'intervista carica di messaggi più o meno espliciti e di segnali contradditori, tipici di un negoziato giunto alla stretta finale. Riaprire il capitolo dei poteri del nuovo Senato è un modo per far saltare la riforma o è solo un rilancio tattico? E la disputa sulla responsabilità di un'eventuale rottura serve per prepararsi allo scontro decisivo o soltanto a strappare qualcosa di più? Secondo un altro leader della minoranza come l'ex capogruppo alla Camera Roberto Speranza «la prospettiva di un accordo è positiva e lavoreremo per siglarlo». Ma niente «pasticci, chiediamo che l'articolo 2, in maniera esplicita, preveda un principio: il Senato sia eletto dai cittadini».
La Boschi, nonostante il nervosismo, si dichiara «assolutamente fiduciosa» sul risultato finale. «Approveremo la legge nei tempi, il 90 per cento del testo è condiviso e ci sono ancora pochi punti da definire. E siamo tranquilli sulla tenuta del governo, fino al 2018». Però la minoranza si decida. «Vadano a prendere una pizza tutti insieme e poi ci facciano sapere, non se ne può più di questo avanti e indietro».
Luciano Pizzetti, sottosegretario alle Riforme, vede invece l'obbiettivo a portata di mano. «La riforma può essere condivisa, le affermazioni di Bersani e Speranza possono rappresentare un punto di svolta. La composizione del nuovo Senato definita nell'art. 2 è accolta, così come la necessità di non ripartire da capo. L'intervento sul comma 5 dell'art. 2, come ipotizzato nei giorni scorsi, a questo punto è la via maestra da percorrere». Soluzione approvata anche dal pontiere Cesare Damiano. «I due punti cardine sono la elettività e la non riapertura delle votazioni sull'articolo 2, altrimenti si ricomincia daccapo. L'unico possibile compromesso è modificare soltanto il comma 5 del suddetto articolo 2, l'unico che non ha avuto finora una doppia votazione conforme. Si tratterebbe di una soluzione onorevole per tutti».
Se il Pd fallisce
si rischia di consegnare l'Italia a M5S e Lega
Non rompo ma non mi scosto: forse qualcuno cerca un pretesto...
L'elettività dei senatori è un punto
fermo, lo si scriva in modo esplicito
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