Dal fisco alla giustizia alla disoccupazione Ecco gli «ius» che sono negati agli italiani

La sinistra concede diritti a stranieri e minoranze e dimentica le vere priorità

Felice Manti

Lo ius soli fa parte della solita, spregiudicata strategia elettorale della sinistra: regalare nuovi diritti sperando in un tornaconto. A volte questi diritti fanno flop ma chi se ne importa. Le coppie di fatto etero e omosessuali regolarizzate dall'ok alla legge sono appena 2.802 ma vuoi mettere la medaglia sui cosiddetti «diritti civili»? Purtroppo per l'ex premier gli italiani in realtà si chiedono perché il governo non lavori sul serio a garantire diritti civili su cui gli italiani sono davvero rimasti «soli».

Il vero freno al Paese è la giustizia. Servirebbe uno ius iustitiae, visto che siamo fanalino di coda in Europa. Eppure la recente riforma del codice penale dell'esecutivo sembra destinata a peggiorare la situazione. Ci vogliono quasi 400 giorni per una sentenza di primo grado in civile e nel penale, con oltre 2,7 milioni di cause civili e commerciali pendenti. I magistrati si lamentano perché il 60% dei processi è a rischio prescrizione ma anziché ridurre il carico di lavoro, ad esempio abolendo il ricorso in appello da parte dei pm in caso di assoluzione in primo grado come chiedeva il centrodestra, siamo al paradosso del processo tecnicamente infinito visto che i tempi di prescrizione per alcuni reati come corruzione in atti giudiziari, induzione indebita e truffa aggravata per conseguire erogazioni pubbliche si sono stati dilatati fino a ipotizzare una sentenza di secondo grado anche a 18-20 anni dai fatti.

Non c'è libertà se lo Stato ci spreme quasi la metà di quello che ognuno di noi guadagna. Servirebbe uno ius aerarii perché su ognuno di noi gravano circa 37.538 euro di debito pubblico e abbiamo la pressione fiscale al 42,9%, tra le più alte d'Europa, senza avere in cambio un welfare all'altezza. Secondo la Cgia di Mestre per cinque mesi l'anno noi lavoriamo e lo Stato incassa. Ci vogliono 153 giorni per scrollarci di dosso la morsa del fisco, e guai a contrarre debiti con l'Erario. Sono 21 milioni i contribuenti che aspettano di sapere se la rateizzazione degli 817 miliardi di debito contratto con il fisco e «passato» a Equitalia (il 53% è sotto i mille euro) si potrà fare oppure no. Si stima che saranno solo 52 i miliardi che effettivamente lo Stato riuscirà a recuperare.

E poi c'è l'emergenza lavoro. Altro che Jobs Act, i vorrebbe uno ius laboris per far ripartire il Paese. Più di un italiano su 10 è senza lavoro, tra i giovani la percentuale è spaventosa: uno su tre è a spasso. I dati Istat di cui il governo si bea sono «drogati» dai voucher prima aboliti poi frettolosamente fatti resuscitare per tenere in piedi la farsa del lavoro che c'è. No, il lavoro non c'è perché i sindacati hanno tirato troppo la corda sui diritti acquisiti, perché licenziare persino chi lavorava contro l'azienda era diventato impossibile, perché l'elefantismo del settore pubblico, foraggiato dai partiti e dagli stessi sindacati, oggi non è più sostenibile: chi era dentro c'è rimasto, chi era fuori idem. Con il paradosso di un mercato diviso tra intoccabili nel settore pubblico, ipertutelati nel settore privato e carne da macello.

E oggi che le aziende (che non fanno beneficenza ma utili) hanno preferito utilizzare altre forme di flessibilità sfruttando gli incentivi ad assumere over 50 ed esodati, il risultato è che sempre più giovani hanno rinunciato a cercare un lavoro. E così tra 20 anni sarà impossibile garantire il sistema previdenziale per come lo conosciamo oggi. Ma siamo sicuri che lo ius soli non sia uno ius sòla per gli stessi immigrati?

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