La flat tax è vincente: la sinistra spaventata fa solo disinformazione

Da «Repubblica» cifre errate: ecco i veri costi della rivoluzione fiscale di Forza Italia

La flat tax è vincente: la sinistra spaventata fa solo disinformazione

I poteri forti e l'ex giornalone Repubblica evidentemente hanno paura della flat tax. Dobbiamo una risposta al professor Perotti che, in un articolo pubblicato ieri, ha criticato il programma del centrodestra definendolo un insieme di «promesse impossibili» che ammonterebbero, secondo i suoi calcoli, a 310 miliardi di euro. Conti assurdi.

L'impatto degli impegni elettorali assunti da Forza Italia sulla finanza pubblica ammontano, secondo i nostri calcoli, a 110 miliardi di euro, così suddivisi: introduzione della flat tax, 50 miliardi; cancellazione Irap, 23 miliardi; aumento pensioni minime e alle mamme, 8 miliardi; revisione del sistema pensionistico cancellando gli effetti della Legge Fornero, 10 miliardi; reddito di dignità, 9 miliardi; decontribuzione nuove assunzioni giovani, 10 miliardi.

Abbiamo, per questo programma, individuato 275 miliardi di potenziali coperture disponibili: razionalizzazione e snellimento delle «tax expenditures» (detrazioni, deduzioni, sconti fiscali, ecc.), fino a 175 miliardi; riconversione dei cattivi trasferimenti alle imprese, fino a 30 miliardi; recupero dell'evasione ed elusione fiscale, 20 miliardi; chiusura delle cause fiscali pendenti, 10 miliardi; cartolarizzazione beni confiscati alla mafia, 5 miliardi; spending review, 15 miliardi; riduzione interessi sul debito, 20 miliardi.

Tra le coperture indicate, come si vede, abbiamo previsto una attenta operazione di spending review, quella, tanto per ricordarlo, mai fatta dagli ultimi governi Renzi e Gentiloni. Potenziale per ridurre gli oltre 800 miliardi di spesa pubblica ce n'è, eccome. O vuole forse, il professor Perotti, far credere che quegli 800 miliardi siano tutti indispensabili e che non ci sia neanche un euro di spreco? Ed è mai possibile non rendersi conto come accade al professor Perotti che l'introduzione di alcuni programmi di spesa renderebbe obsoleti programmi già oggi in vigore ma chiaramente inefficienti o visibilmente inefficaci? Che senso avrebbe mai introdurre il reddito di dignità e lasciare in vita le misure di contrasto alla povertà già oggi operanti ma purtroppo senza grande successo? Come si può come accade al professor Perotti non vedere che molte voci di spesa implicano, nei fatti, un riordino anche profondo di segmenti interi di spesa pubblica? Come si può, per fare un secondo esempio, pensare che il saldo dei debiti della Pubblica Amministrazione sia una spesa ricorrente?

Sempre sul tema delle coperture, vorremmo anche ricordare come il nostro approccio non si basa soltanto su un intervento in termini di «flusso» ma anche in termini di «stock». Se il professor Perotti avesse letto bene il programma, avrebbe visto che intendiamo effettuare una doppia operazione di privatizzazione delle società pubbliche e di dismissione del patrimonio pubblico, attraverso la creazione di una società veicolo entro la quale far confluire tutti gli asset da gestire. L'intento è quello di far diminuire lo stock di debito e ridurre di conseguenza anche la componente interessi, che pesa quasi 70 miliardi l'anno sui nostri conti pubblici. Con il risultato indiretto di liberare risorse da destinare alla riduzione della pressione fiscale o a nuovi capitoli di spesa.

Il nostro obiettivo dichiarato è quello di portare sotto la soglia del 100% il rapporto debito/Pil nel corso della legislatura. Un piano di rientro che ovviamente non sarebbe coerente con le tendenze di spesa e di entrate ipotizzate con molta fantasia dal professor Perotti. Un piano di rientro che non abbiamo esitato a mettere a disposizione nei suoi dettagli dell'Osservatorio sui Conti Pubblici di Carlo Cottarelli. Non ci risulta che lo stesso abbiano fatto il Partito Democratico o il Movimento 5 Stelle. La cosa dovrebbe far riflettere il professor Perotti. Ammesso e non concesso che sia disponibile a farlo.

Ci sembra poi del tutto incredibile che il professor Perotti non consideri gli effetti positivi di una riduzione della pressione fiscale come quella garantita dall'introduzione di una imposta efficiente come la flat tax. Ad esempio, ha calcolato, il professor Perotti, di quanto aumenterebbe il gettito Iva e, in generale, di tutta la tassazione indiretta, per effetto dell'aumento dei consumi generato dal maggior reddito a disposizione dei cittadini? Ha calcolato il maggior gettito Ires provocato dall'aumento di profittabilità delle imprese che con l'abolizione dell'Irap avranno più liquidità a disposizione, anche per effettuare maggiori investimenti? Il nostro programma consente di attivare il circolo virtuoso rappresentato da minori tasse, più investimenti e consumi, più crescita, minore deficit e riduzione progressiva del debito. Il funzionamento di questa strategia implica, tra le altre cose, una maggiore credibilità verso i mercati che l'Italia ha dissipato negli anni dei governi di sinistra.

Il professor Perotti, poi, sembra non credere per nulla all'effetto Laffer, il quale dimostra come in un paese con elevata pressione fiscale (l'Italia è fra quelli con la più elevata), la riduzione delle aliquote fa aumentare, piuttosto che diminuire, il gettito per lo Stato. Certamente, per chi ragiona in maniera statica come il professor Perotti e non crede negli effetti virtuosi sull'economia che un taglio delle tasse produce, è difficile comprendere i vantaggi di un sistema semplice, che incentiva l'offerta di lavoro ed efficace come quello della flat tax. Con essa, l'effetto atteso maggiore si manifesta dal lato dell'offerta, cioè dalla spinta al dinamismo economico derivante dal fatto che le scelte di consumo, di risparmio e di investimento possono godere di un quadro di politica economica chiaro e mirato alla liberazione di risorse private, aumentando così il rendimento medio del capitale e del lavoro, perché il risparmio fiscale aggregato sul maggior reddito prodotto dal capitale e dal lavoro si ripartirebbe sul rendimento netto complessivo dell'intero stock di capitale e lavoro. Secondo i nostri calcoli, una crescita cumulata in 5 anni del 10 per cento del Pil in termini reali con prelievo ridotto implicherebbe una riduzione della pressione fiscale quantificabile in 4-5 punti percentuali.

Infine, vorremmo chiedere al professor Perotti, grande appassionato di calcoli, se ha considerato il risparmio che si avrebbe sui costi di compliance fiscale per effetto di un modello di dichiarazione dei redditi di una sola pagina come quello garantito dalla flat tax. Per aiutarlo, gli ricordiamo che attualmente essi ammontano alla cifra monstre di oltre 60 miliardi di euro, quasi la metà dell'intero gettito Irpef, e che il nostro fisco è il terzo peggiore del mondo sotto questo aspetto, dopo quello di Brasile e Turchia.

A meno che, il professor Perotti creda che noi viviamo nel migliore dei sistemi fiscali possibili e che l'unico modo per riformarlo sia quello di sommare un altro bonus (questa volta pare - per i figli) ai tanti altri inutili bonus già in essere come sembra voler fare il partito di Matteo Renzi.

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