Un rimpasto allunga la vita: se da giorni Gigino Di Maio sta proponendo a destra e a manca un giro di poltrone nel governo (ne ha parlato con Mattarella, ne ha discusso con Conte, lo ha a più riprese offerto a Salvini) non è per generosità.
Per il vicepremier grillino (e per la Casaleggio, che vuol restare con un piede nella stanza dei bottoni) la priorità è rinsaldare l'alleanza con Salvini e assicurarsi che il governo gialloverde vada avanti, possibilmente per tutta la legislatura. A costo di concedere pezzi pregiati di governo al socio leghista: non solo la poltrona in Commissione Ue, che spetta a Salvini, ma anche la testa di ministri, vice, sottosegretari grillini da sostituire con salviniani. E con nuovi innnesti dalle file pentastellate: nasce così la voce insistente di un possibile arrivo al governo del più celebre disoccupato grillino: Alessandro Di Battista (nel tondo).
Per Di Maio sarebbe la ciliegina sulla torta: imbrigliare il suo antagonista, che dopo la debacle europea ha provato a fargli le scarpe ma è stato brutalmente stoppato dalla filo-leghista Casaleggio, tentandolo con la Farnesina: non al posto di Enzo Moavero, ministro «di garanzia» che non si tocca, ma come suo vice al posto di Manlio Di Stefano. Per il girovago Dibba sarebbe una seducente vetrina, senza costituire un impegno oneroso, e lo toglierebbe dall'imbarazzo di non saper che fare di se stesso in caso di durata del governo. Per Di Maio, la garanzia che il fratello-coltello dovrebbe smettere di fargli trappole.
Nelle file governative dei Cinque Stelle si respira comunque il panico da rimpasto: Toninelli non dorme da giorni, la Castelli (reduce da una nuova ottima figura sulla lettera di Tria alla Ue) è assai nervosa, come la ministra Giulia Grillo. Trema il pingue Crimi, che con la sua gestione della delega all'Editoria ha creato solo grattacapi al governo, inimicandosi gran parte del settore informazione. E con lui Tofalo, Fioramonti, Sibilia. Tra loro, qualcuno ha persino telefonato a Beppe Grillo, per implorare protezione.
Nei piani del capo grillino, il rimpasto diventa anche un utile strumento per regolare i conti interni. Così fa filtrare la notizia di un processo ad ampio spettro per i suoi membri di governo, con l'obiettivo di offrire alla base parlamentare un po' di capri espiatori, e di togliersi dai piedi alcuni frondisti per promuovere gente più fidata e meno imbarazzante.
Il capo leghista, però, non ha ancora sciolto la riserva: il via libera al rimpasto sarebbe il segnale inequivocabile che il governo durerà.
E Salvini non vuole ancora concedere questo salvacondotto a Gigino. Per ora rinvia a dopo i ballottaggi: lunedì radunerà lo stato maggiore della Lega (all'interno del quale sono forti l'insofferenza verso gli alleati e la voglia di giocarsela in fretta al voto, prima che inizi la parabola discendente) e da lì potrebbe uscire un segnale.
Ma dopo gli ultimi colloqui col suo omologo, incluso quello di ieri, Di Maio si è fatto l'idea che Salvini sia fortemente tentato di tenersi
l'utile alleato grillino, in stato di soggezione, e di lasciare a Conte la patata bollente di un ardua trattativa europea, tenendosi le mani libere per sparare a zero su Bruxelles, senza doversene assumere la responsabilità.
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