di Livio CaputoDopo la strage di Parigi, le ha provate tutte: François Hollande, il presidente socialista con radici internazionaliste, si è improvvisato da un'ora all'altra guerriero, patriota, fautore dello stato di emergenza e pugnace tutore dell'ordine pubblico, facendo propri molti dei temi dell'esecrato Front National di Marine Le Pen. Per rilanciare la centralità della Francia nel momento della grande crisi, si è lanciato in una vera propria maratona diplomatica, incontrando in una settimana tutti i leader mondiali che contano, da Obama a Putin, dalla Merkel a Cameron, per cercare, per la verità senza molto successo, di formare una «santa alleanza» contro l'Isis. Sebbene la Francia sia considerata, a buon diritto, la patria dei diritti dell'uomo, non ha esitato ad annunciare al Consiglio d'Europa la loro parziale sospensione, fino a quando durerà l'emergenza del terrorismo islamico di radici domestiche che a suo dire può essere sconfitto solo con un inasprimento dei controlli.La svolta, che ha stupito (e in molti casi sconcertato) molti seguaci della gauche, che non hanno esitato ad accusarlo di attentare alla libertà, gli è servita a risalire personalmente nei sondaggi da un abissale 16% a un più che decoroso 50, ma non a salvare il suo partito socialista da una delle più umilianti disfatte della sua storia. Evidentemente, la brusca sterzata a destra gli ha fatto guadagnare diversi consensi, se non altro per il tentativo di tornare protagonista a livello internazionale, ma in compenso ha allontanato dal suo partito una parte dei suoi seguaci tradizionali, che si sono rifugiati nell'astensione, o sono passati all'estrema sinistra. Altri, soprattutto nelle classi operaie del Nord e del Nordest preoccupati soprattutto dalla pessima situazione economica e nel Sud ancora impregnato della cultura dei pieds noir, sono passati direttamente dal Ps al Fn: se bisognava usare il pugno duro, devono avere pensato, meglio coloro che lo hanno sostenuto fin dall'inizio a chi lo ha adottato solo dopo che i buoi erano scappati. Se la disfatta del partito socialista (che cinque anni fa aveva conquistato addirittura tutte le regioni e adesso ha la possibilità di vincerne solo tre) sarà confermata al ballottaggio, le possibilità di rielezione di François Hollande alle elezioni presidenziali del 2017 si faranno davvero scarse. Nell'ultimo mese ha giocato tutte le sue carte, ma gli hanno giovato solo sul piano notoriamente quanto mai effimero della considerazione personale, non su quello del voto. La sua decisione, tra l'altro contestata da più di un esponente del Ps, di ritirare i candidati arrivati terzi per aiutare l'alfiere del partito repubblicano a tentare di battere Marine Le Pen e sua nipote Marion è forse un gesto di responsabilità (non reciprocato, almeno per ora, da Sarkozy nelle regioni in cui il Ps è ancora primo o secondo), ma anche un segno di debolezza. Marine Le Pen ha addirittura parlato di «suicidio collettivo» del partito socialista.
In effetti, stando ai dati di domenica, potrebbe addirittura ripetersi la tragedia del 2002, quando alle presidenziali Lionel Jospin non arrivò neppure al ballottaggio. Oltre che con il drammatico arretramento del Ps, Hollande dovrà ora misurarsi con la persistente fronda interna del suo partito, passata in secondo piano dopo la strage di Parigi, ma sempre latente e destinata a rinvigorirsi in seguito a queste elezioni. Molti compagni lo considerano una personalità mediocre, arrivata all'Eliseo dopo una grigia carriera di funzionario di partito, cui non bastano le iniziative dell'ultimo mese per riscattarsi. Anche la sua agitata vita privata, con il susseguirsi delle amanti, non è apprezzata da tutti. I moderati stanno già lavorando per sostituirlo, come prossimo candidato all'Eliseo, con il primo ministro Manuel Valls, considerato più capace di attirare i voti del centro.
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