Tripoli La fiammata illumina di rosso una notte puntellata di stelle. Un combattente governativo incollato a una mitragliatrice pesante montata sul cassone del fuoristrada spara brevi raffiche intermittenti verso le postazioni del generale Khalifa Haftar. Un mese dopo l'inizio della battaglia di Tripoli la situazione sul terreno è di drammatico stallo. Il governo riconosciuto dall'Onu di Fayez al Serraj non riesce a ricacciare indietro le truppe di Haftar. E il generale della Cirenaica non è in grado di conquistare la città.
Una manciata di chilometri più indietro, la vita nel centro di Tripoli scorre normalmente caotica, come se la guerra fosse lontana, ma sulla linea del fuoco, nei sobborghi meridionali della capitale, i civili fuggono dai combattimenti. Gli sfollati sono già 50mila. Il governo libico utilizza le scuole o vecchi resort sulle spiagge dei tempi di Gheddafi per ospitare le famiglie in fuga. Molti hanno trovato accoglienza dai parenti, ma altrettanti sono costretti a vivere nelle aule scolastiche con i banchi spostati da una parte e i materassi buttati per terra. Amal ha visto uccidere una delle sue vicine di casa da un cecchino ed è scappata con tutta la famiglia. Sul conflitto in corso ha le idee chiare, come gran parte degli abitanti di Tripoli: «Che si mettano tutti attorno ad un tavolo per stabilire la data delle elezioni. Poi verrà proclamato un presidente e ci sarà bisogno di un solo esercito, non mille gruppi armati diversi, in grado di garantire stabilità e sicurezza».
Amal e gli altri 50mila sfollati sono cittadini libici, non migranti illegali, che potrebbero decidere di lasciare il paese per raggiungere la Tunisia. Oppure scegliere la via dell'esodo come i siriani, magari via barcone, chiedendo asilo all'Italia o all'Europa. Profughi che dobbiamo accogliere perché scappano veramente da una guerra. «Se la gente fugge da un conflitto e l'unica opzione è la via del mare sarà costretta a imbarcarsi su un gommone. Se prima c'erano solo i migranti, adesso il problema è che potrebbero scegliere di lasciare il paese anche i libici» spiega Sam Turner, responsabile di Medici senza frontiere a Tripoli.
A parte le sparate un po' propagandistiche del premier Serraj che continua a lanciare l'allarme su 800mila persone che a causa del conflitto potrebbero riversarsi in Europa cominciando dalle nostre coste, la capitale è piena di migranti ad ogni angolo di strada in cerca di lavoretti giornalieri. Secondo le stime dell'intelligence americana, i clandestini sarebbero almeno 100mila. E almeno 3mila migranti sono rinchiusi in centri di detenzione del governo, che si trovano pericolosamente vicini alla linea del fronte.
«In vista dell'estate e del mare calmo ci attendiamo un aumento delle partenze, ma la guerra sta cambiando tutto», spiega il commodoro Ayoub Ghasem, portavoce della Marina e Guardia costiera libica. «Molti trafficanti sono occupati con il conflitto da una parte o dall'altra. Per questo le partenze sono di fatto ferme - spiega l'alto ufficiale libico - Non solo: la guerra coinvolge la parte meridionale di Tripoli e blocca la via di afflusso di nuovi immigrati illegali verso la costa dalla frontiera meridionale».
Il pericolo maggiore è che la situazione sul terreno degeneri con un sempre maggiore coinvolgimento straniero. I droni, che si sospetta siano degli Emirati Arabi, acquistati dalla Cina, già colpiscono di notte le forze governative.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha annunciato che userà «tutti i mezzi possibili» per fermare il generale Haftar. Dopo un mese di guerra per la conquista di Tripoli si profila uno scenario siriano alle porte di casa nostra, che rischia di trascinarsi a lungo senza né vincitori, né vinti.
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