Voleva moralizzare la Chiesa, ma si era dimenticato di vigilare sui propri conti. Ora Carlo Maria Viganò, il potente arcivescovo che nei mesi scorsi aveva chiesto addirittura le dimissioni di papa Bergoglio, viene sconfessato dalla magistratura di Milano. Nessun passo avanti, ma anzi una scivolata molto imbarazzante: il tribunale civile del capoluogo lombardo gli ordina infatti di restituire al fratello Lorenzo, pure sacerdote, una cifra che sfiora i 2 milioni di euro. Per l'uomo che voleva rinnovare il Vaticano una pagina nera, l'epilogo inglorioso di una guerra fratricida sullo sfondo di proclami altisonanti.
Nel 1961, alla morte del padre, un imprenditore dell'alta borghesia lombarda, i due sacerdoti avevano mantenuto la cointestazione dei beni e formato una comunione ereditaria. In pratica Carlo Maria amministrava anche le proprietà di Lorenzo, completamente assorbito dallo studio delle Sacre Scritture.
Cosi per decenni, poi qualcosa si è rotto. Lorenzo si era accorto che i conti non tornavano e aveva chiesto spiegazioni al fratello, intanto arrivato ai piani alti del Governatorato del Vaticano. E a un passo dal cardinalato. Ma il rendiconto non è mai arrivato e Lorenzo ha preso la strada della carta bollata per far valere i propri diritti.
L'arcivescovo aveva risposto con una mossa degna di una tenebrosa saga rinascimentale: aveva controdenunciato la sorella Rosanna, accusandola, nientemeno, di circonvenzione d'incapace. In pratica avrebbe manipolato l'innocuo Lorenzo, colpito da un grave ictus, per screditare l'altro fratello e le sue fiammeggianti battaglie per lavare i panni sporchi della Chiesa. Cosi, in un clima surreale, Lorenzo era stato costretto a lasciare i suoi amati testi sulle lingue dell'antichità e a presentarsi a Palazzo di giustizia per dimostrare di essere ancora presente a se stesso. Umiliazioni e intrighi familiari, nella cornice di Watileaks, dei corvi e di un vorticoso movimento di denari.
La comunione fra i Viganò comprendeva al 30 settembre 2010, secondo le stime di Lorenzo, beni immobili per circa 20 milioni di euro, più quasi 7 milioni di euro parcheggiati sui conti correnti. Un patrimonio ingente che Carlo Maria avrebbe gestito senza trasparenza e, anzi, senza rispettare gli interessi del fratello.
Eppure, in questa situazione di scontro violentissimo, con la famiglia dilaniata da una mortificante faida, Carlo Maria aveva strattonato papa Ratzinger: il 7 luglio 2011 infatti aveva scritto a Benedetto spiegandogli con un certo ardimento di non poter accettare l'incarico, peraltro strategico, di nunzio negli Usa per rimanere vicino al fratello infermo. Che ancora una volta aveva smentito e protestato, mentre Rosanna, in una telefonata registrata, svelata dal Giornale nei mesi scorsi, aveva definito Carlo Maria un «farabutto», abilissimo come un prestigiatore nell'ingannarla e portarle via una casa in Svizzera.
Ora Lorenzo e Rosanna, assistiti in tutti questi tortuosi anni dagli avvocati Francesco e Biagio Giancola, vedono finalmente riconosciute le proprie ragioni. L'ammanco c'è stato, come sostenuto con tenacia dai due legali: Carlo Maria deve restituire a Lorenzo 1,8 milioni di euro. Più di due milioni con gli interessi.
Probabile che, come in tutte le dinasty che si rispettano, ci sia un secondo round in corte d'appello. Per ora però c'è questo verdetto. Pesantissimo: la tonaca che voleva rendere pure le finanze del Vaticano gestiva in modo «impuro» le finanze dei Viganò.
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