Il generale che combatté Cosa nostra sotto processo per accuse assurde

Il caso del generale Mario Mori

Il generale che combatté Cosa nostra sotto processo per accuse assurde

Protagonista nella lotta al terrorismo, poi in prima linea contro la mafia in Sicilia, dove fa arrestare Totò Riina, infine la nomina a capo del Sisde, venti giorni dopo l'attentato alle Torri Gemelle che ha cambiato il mondo e messo l' intelligence di fronte a sfide radicalmente nuove. E scusate se è poco. Giusto qualche riga di un curriculum luminoso, che però non è bastato al generale e prefetto Mario Mori per salvarsi dal fango, ritrovandosi invischiato in inchieste spesso surreali che puntavano a fare di lui, da servitore dello Stato e simbolo della lotta alla criminalità e dell'antimafia, un favoreggiatore e perché no, un «concorrente esterno», proprio dei mafiosi. Mori, adesso, è tra gli imputati del processo per la presunta trattativa tra Stato e Mafia, con i pm siciliani convinti che l'ex capo degli 007 civili fosse uno dei protagonisti, anche se nel frattempo la stessa procura di Palermo ha chiesto l'archiviazione dell'inchiesta-stralcio per la quale Mori era indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Di vittorie in giudizio il generale ne vanta un po.

È stato processato - e assolto - per la mancata perquisizione del covo di Riina; processato - e di nuovo assolto - perché il 31 ottobre 1995 avrebbe favorito la latitanza di Bernardo Provenzano, impedendo a un carabiniere di procedere all'arresto del criminale in una casa di campagna a Mezzojuso, e in primo grado è emerso che lì, quel giorno, non c'erano né il carabiniere «accusatore» né Provenzano. Alla Procura non basta, e a Mori tocca pure il processo d'Appello, iniziato a giugno.

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