Napoli - Archiviato dopo due anni sulla graticola e sulle prime pagine dei giornali. Sono stati gli stessi pm che l'avevano messo sott'inchiesta per una presunta storia di corruzione in combutta con un altro alto ufficiale, a chiedere al gip di estinguere il procedimento a carico di Vito Bardi, generale (in pensione) della Guardia di finanza. Per due volte indagato nel capoluogo campano e per due volte archiviato. In mezzo, una carriera azzoppata da comandante in seconda del Corpo.
Generale Bardi, il copione si ripete. Prima la «P4» e poi questo procedimento. Com'è che capitano tutte a lei con la Procura partenopea? «Non spetta certamente a me fare interpretazioni sospira né offrire chiavi di lettura. Sarà stata una coincidenza. Ecco. Mi faccia dire che sono cose che capitano, cose che capitano...».
Nel 2011, il nome di Bardi che all'epoca è comandante interregionale dell'Italia meridionale spunta nel procedimento sulla presunta lobby segreta di Luigi Bisignani e Alfonso Papa. È accusato di rivelazione di segreto investigativo e di favoreggiamento. Dopo un anno di interrogatori, riscontri e incidenti probatori, John Henry Woodcock inoltra al giudice l'istanza di archiviazione. Caso chiuso, si torna alla normalità. Ma non per molto. Nel 2014, gli uffici di Bardi che nel frattempo è diventato comandante in seconda delle Fiamme gialle vengono perquisiti nell'ambito di un più ampio procedimento per corruzione. I titolari del fascicolo sono Woodcock e Piscitelli. Solo nell'aprile 2017, il gip Tommaso Miranda firma il decreto di archiviazione. Un provvedimento sollecitato dagli stessi magistrati basato sull'insussistenza di ogni ipotesi di illecito.
Che cosa prova oggi?
«Molta amarezza soprattutto per una cosa: non sono mai stato convocato in Procura. Ho chiesto, attraverso i miei legali (i penalisti Vincenzo Siniscalchi e Gaetano Balice, ndr) di poter essere interrogato».
E non è stato chiamato?
«Mai. Ho inviato memorie, documenti. Mi sono difeso solo con le carte. Avrei voluto incontrare i pm per poter spiegare, per poter chiarire se c'era qualcosa su cui porre l'attenzione».
Al momento dell'ultima inchiesta, lei era comandante in seconda. Poteva diventare il numero uno?
«C'era la possibilità di diventare comandante generale, sì. Ma sono andato in pensione a fine mandato. Come indagato, ho ritenuto opportuno non assumere altri incarichi. Non volevo creare imbarazzi».
Quanto le è costata questa «coincidenza», come la chiama lei?
«Moltissimo. Pensi solo all'impatto mediatico. Avere per giorni e giorni la mia foto sui quotidiani, senza sapere nemmeno di che cosa dover rispondere, non è bello per chi ha servito lo Stato per 45 anni. E poi c'è la perdita di chance lavorative e professionali».
E ora il generale in pensione Vito Bardi che cosa farà?
«Mi guarderò intorno. Ho 65 anni.
L'altro giorno, quando si è diffusa la notizia dell'archiviazione, sono stato cinque ore al telefono. Mi hanno chiamato tutti. Son cose che ripagano per quello che ho affrontato. In un certo senso direi proprio che lo ripagano».
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