Chi ha veramente ammazzato Muammar Gheddafi? Ancora oggi non si conosce il nome del giustiziere del Colonnello, che gli ha sparato a bruciapelo in mezzo al caos dei ribelli eccitati dalla cattura. L'unica certezza è che il cerchio attorno a Gheddafi si è chiuso grazie all'intervento di droni, elicotteri e caccia della Nato. E probabilmente di una squadra di infiltrati sul terreno.
La fine del Colonnello inizia con una telefonata satellitare che fa a Damasco, forse per garantirsi un rifugio in Siria, intercettata dagli alleati. Così la Nato ha la certezza che il Raìs in fuga è asserragliato nell'ultima ridotta di Sirte, la sua città natale. Il 20 ottobre 2011 Gheddafi e i resti dei suoi fedelissimi decidono l'ultima disperata sortita per sfuggire all'assedio.
«Nei giorni precedenti c'erano state diverse missioni tattiche di almeno 9 elicotteri su Sirte - ha raccontato al Giornale una fonte Nato -. Uno inglese e gli altri francesi, che colpivano obiettivi mirati». Non sono certo bombardamenti a casaccio. Quando la colonna si mette in marcia è composta da 75 mezzi zeppi di guardie del corpo e con gli ultimi gerarchi del regime. Un velivolo in ricognizione della Raf individua il convoglio, ma subito dopo un drone Predator pilotato da Las Vegas e decollato dalla base americana di Sigonella lancia il primo missile Hellfire sul convoglio. Sulla scena interviene una coppia di caccia francesi Rafale, già in volo, che martellano la colonna fino a «esaurire il munizionamento».
I raid probabilmente condotti anche con elicotteri mettono fuori uso un terzo del convoglio e una dozzina di mezzi scappano verso sud. Gheddafi è costretto a fermarsi trovando riparo in uno scolo di cemento sotto la strada.
I piloti dei velivoli Nato e il Predator forniscono continue informazioni alla base Nato di Napoli e Poggio Renatico, che gestisce le operazioni aeree. Parte di queste informazioni vengono girate ai corpi speciali e all'intelligence alleata, al fianco dei ribelli a Sirte.
Quando i ribelli tirano fuori il Colonnello dal suo rifugio scoppia il caos e l'eccitazione per la cattura del nemico numero 1. Gheddafi viene pestato, sodomizzato ed è ferito, ma vivo. Qualcuno grida «ammazziamolo» e altri che bisogna portarlo a Misurata. L'idea è di processarlo ed esibirlo come un trofeo. «L'impressione è che dopo il primo gruppo di insorti che catturano Gheddafi vivo ne sia arrivato un secondo, che sapeva esattamente cosa fare e aveva ordini precisi di eliminare i prigionieri» ha spiegato una fonte riservata del Giornale allora in prima linea.
Gheddafi è sanguinante e stremato, ma respira ancora fino a quando arriva il secondo gruppo e lo sbattono su un fuoristrada. Poi le immagini si confondono, le urla aumentano e si sentono dei colpi d'arma da fuoco. Il Colonnello è morto. Non si capisce e non si è mai saputo chi abbia sparato. L'autopsia rivela che è stato ucciso da un proiettile all'addome e da un altro in testa. Un'esecuzione eseguita da qualcuno «infiltrato» fra i ribelli e arrivato con il secondo gruppo.
Tempo dopo Mahmoud Jibril, primo ministro alla caduta del regime, si è detto convinto che «un agente straniero mescolato ai rivoluzionari ha ucciso Gheddafi». In tanti in Libia sono convinti che sia stata un'operazione pilotata dalla Francia per tappare la bocca al Colonnello per sempre, ma la verità non si saprà mai.
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