Il piano era stato studiato nei minimi dettagli: il dossier che accusa il Vaticano e il Papa di aver coperto per anni le molestie dell'ormai ex cardinale McCarrick, «dev'essere pubblicato il 26 agosto, la domenica conclusiva del viaggio di Francesco in Irlanda». Non un giorno prima, non un giorno dopo. Il motivo? Mettere il Pontefice all'angolo e costringerlo a dare una risposta sul volo di ritorno da Dublino nel corso della consueta conferenza stampa con i giornalisti. E così è stato: la direttiva di monsignor Carlo Maria Viganò, uno degli autori del documento, è stata seguita alla lettera dai cinque giornalisti (due italiani, un inglese, un americano e uno spagnolo) che hanno ricevuto contemporaneamente il memoriale avvelenato, pubblicandolo domenica scorsa. A quel punto, una volta finito sui giornali, l'ex nunzio apostolico negli Stati Uniti è sparito nel nulla, facendo perdere le sue tracce, come lo stesso arcivescovo ha fatto sapere, prima di volare via, a uno dei giornalisti coinvolti nella pubblicazione del dossier. Viganò, infatti, prima di render pubblica la sua «testimonianza» aveva acquistato, ed è tutto documentato dal racconto dello stesso monsignore, un biglietto aereo con una destinazione estera segreta. Non solo: all'indomani della pubblicazione contemporanea sui siti e sul quotidiano La Verità, come da programma, Viganò ha cambiato numero di telefono, disattivando definitivamente il vecchio. E, infatti, sono stati inutili alcuni tentativi di chi, dentro il Vaticano, ha provato a cercarlo per chiedere lumi sulle sue accuse, ancora non provate. Il nunzio, in pratica, se l'è data a gambe levate, forse anche per paura di sentirsi accusare di aver taciuto per tanti anni e di esser diventato improvvisamente loquace nel momento in cui Francesco doveva affrontare di petto la grana degli abusi sessuali in terra irlandese.
Soltanto ieri in tarda serata, il monsignore è riapparso dal suo rifugio segreto con un'intervista rilasciata ad Aldo Maria Valli, uno dei cinque giornalisti che hanno pubblicato il suo memoriale. L'ex nunzio negli Usa respinge tutte le accuse di aver agito per vendetta o per rancore nei confronti del Papa, dice di essere sereno e in pace di coscienza, ma allo stesso tempo aggiunge tre nuovi bersagli alle sue accuse: i tre cardinali «detective» che, per ordine di Benedetto XVI indagarono nel 2012 dopo il primo Vatileaks. Anche loro, secondo Viganò avrebbero taciuto di fronte ai casi di corruzione nella Chiesa.
In realtà, alcune delle accuse contenute nel documento di 11 pagine sembrano essere, però, non corrispondenti al vero. Uno dei cardinali contro cui Viganò punta il dito nel dossier, sentito da Il Giornale, chiede, vista la delicatezza della faccenda, di poter rimanere anonimo per non esser buttato nella mischia, ma ci tiene a confermare: «Penso che molte cose raccontate in quel memorandum, possano esser vere, ma altre sono totalmente false. Ad esempio», svela, «durante il mio servizio in Segreteria di Stato mai mi è capitato di sentir parlare del caso McCarrick. Viganò ogni tanto presentava dei rapporti su altre questioni, ma erano semplicemente frutto di sue supposizioni e per questo venivano poi cestinate. Ovviamente», conclude il porporato, «Trovo assurdo che oggi si attacchi in questo modo il Santo Padre e che a farlo sia un addirittura un arcivescovo che invece dovrebbe essere fedele al vicario di Cristo».
Intanto, emerge un nuovo dettaglio sul caso del memoriale: la «testimonianza» del monsignore è stata elaborata a quattro mani: a confermarlo è Marco
Tosatti, vaticanista con posizioni molto critiche nei confronti di Papa Bergoglio. In un'intervista ad AP conferma: «Ho convinto io l'arcivescovo a parlare. Abbiamo corretto il testo insieme nel mio salone lo scorso 22 agosto».
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