Il gigante "complicato" da 250 miliardi

Un ente con grandi risorse da investire. Ma rispettando le regole europee

Il gigante "complicato" da 250 miliardi

Perchè le poltrone al vertice di Cassa Depositi e Prestiti sono così strategiche da aver richiesto settimane di braccio di ferro? Su cosa vuole mettere le mani il tandem Di Maio-Salvini? Cdp non è soltanto la cassaforte pubblica che gestisce i risparmi postali degli italiani controllata dal Tesoro con una quota dell'83% e partecipata dalle Fondazioni bancarie con il 16 per cento. Alitalia, Tim (di cui è diventata azionista con il 5% in mezzo alla battaglia tra Elliott e Vivendi), Ilva (era nella cordata battuta da ArcelorMittal), non c'è dossier spinoso in cui la politica non abbia tirato in ballo il gruppo di via Goito.

Eppure Cdp non è né una banca né un ente come la vecchia Iri ma dal 2003 è una società di diritto privato una spa con lo status di istituto nazionale di promozione. I conti 2017 sono stati chiusi con un utile in crescita a 4,5 miliardi (2,2 miliardi per la capogruppo con un +33% rispetto al 2016) anche grazie alle ottime condizioni sui tassi negoziate con il Tesoro che hanno consentito di remunerare con un paio di miliardi in più il risparmio postale. Alla Cassa, per altro, il Mef ha conferito anche il 30% delle Poste per un controvalore di circa tre miliardi. Il piano di questo «animale complicato», come l'ha definito il presidente uscente Claudio Costamagna, prevede di mobilitare 160 miliardi di risorse a supporto del Paese entro il 2020. Ma quali sono invece i progetti del nuovo governo per la Cassa? Il vicepremier Luigi Di Maio ha parlato nelle scorse settimane di trasformarla in una banca pubblica per gli investimenti. Alitalia, per cui il ministro alle Infrastrutture Danilo Toninelli ha ipotizzato il socio pubblico al 51%, potrebbe essere il primo grande dossier dicono nelle stanze dei grillini che vedono Cdp un po' come una bacchetta magica, un po' coperta di Linus. Ma non sarà un'impresa facile. Prima di tutto perchè dovranno fare i conti con il patron dell'Acri, Giuseppe Guzzetti, che in via Goito potrà contare su Massimo Tononi, scelto come presidente della Cassa: «Lo sviluppo della Cdp deve avvenire senza mettere a rischio i risparmi postali delle famiglie italiane e le fondazioni sono pronte a opporsi a iniziative che vadano oltre questo limite», ha detto Guzzetti.

Cdp può contare sui 250 miliardi del risparmio postale, dei quali 80 investiti e 170 a disposizione. Il punto è che quei 170 miliardi non sono del governo, bensì di 26 milioni di piccoli risparmiatori che comprano buoni e libretti postali. Per statuto (la cui modifica va condivisa da tutti i soci, quindi anche dalle fondazioni) la Cassa non può intervenire direttamente e in maggioranza in imprese in crisi. Se altera la sua missione, l'Antitrust Ue può chiamare l'infrazione per aiuti di Stato. Né può diventare una banca senza ricadere sotto la sorveglianza della Bce che le imporrebbe requisiti patrimoniali più severi. Per tenere alta l'asticella, Cdp potrebbe quindi essere costretta a ridurre il sostegno ai settori produttivi nei quali investe oppure chiedere ai soci di mettere mano al portafoglio.

Nel caso di Alitalia, però, potrebbe esserci una scappatoia: i riflettori sono puntati su QuattroR, il fondo di oltre 700 milioni promosso da Cpd, specializzato in investimenti in aziende italiane in temporaneo squilibrio finanziario e finanziato anche da Inail, Inarcassa e Cassa Forense. A Bruxelles c'è già il dossier aperto sul maxi prestito da 900 milioni concesso dal governo Gentiloni alla compagnia aerea. Se il nuovo governo tirasse troppo la corda degli aiuti di Stato, Cdp potrebbe perdere lo status di società privata tornando all'interno del bilancio pubblico.

A quel punto tutte le quote di società pubbliche (come Eni e Poste) considerate privatizzazioni verrebbero riportate in capo al Tesoro, con un aggravio del debito pubblico nell'ordine di almeno 25 miliardi. Se non di più.

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