Fermi. Bloccati alla casella del via da 72 giorni come in un gioco del Monopoli da incubo. Il governo resta un miraggio e gli italiani assistono attoniti ad una sorta di rituale dove si ripetono gli stessi gesti fino allo sfinimento. Dopo giorni di riunioni concitate e dichiarazioni assortite su come stesse procedendo il confronto tra Lega e M5s per il programma di governo, al momento di andare a vedere le carte, ovvero di salire al Quirinale, si scopre il bluff dei dilettanti. Non c'è accordo, non c'è intesa, non c'è la squadra di governo. Ed entrambi i leader Matteo Salvini e Luigi Di Maio dicono di aver bisogno di tempo, giorni addirittura anche per consultare la base. Un impasse sconcertante e imbarazzante tanto che in serata interviene il capogruppo grillino al Senato, Danilo Toninelli, assicurando tempi brevi. «Ci vogliono 48-72 ore e avremo la chiusura del contratto di governo» promette. Ma su questo punto la Lega appare molto pessimista. Di Maio sembra aver perso il controllo della situazione. Domenica sera aveva detto: «stiamo per chiamare il Quirinale abbiamo un nome un politico, non un tecnico» e invece ieri uscito dal colloquio con Sergio Mattarella dichiara candido che «non c'è nome abbiamo bisogno di tempo». Non solo. Il leader grillino che forse vive in una dimensione spazio temporale «altra» si è pure risentito. «Come mai ancora tanto tempo? In fondo è solo la prima consultazione che facciamo», si è schermito Di Maio, dimentico delle dichiarazioni del giorno prima. Insomma pur «consapevoli delle scadenze internazionali» Lega e Cinquestelle hanno bisogno di «qualche altro giorno». Più incisivo e anche molto più diretto Salvini che, dopo il colloquio con il capo dello Stato, è apparso molto teso ed ha detto che l'accordo non c'è e che a questo punto se non si trova ognuno andrà per la sua strada con l'aria di propendere molto più per la seconda ipotesi. «Il governo parte se può fare le cose: se dovessimo renderci conto che non siamo in grado di farle, non cominciamo neanche», ha tagliato corto Salvini che ha parlato di distanze difficili da colmare su immigrazione, giustizia ed Europa. «Voglio eliminare l'aumento dell'Iva e l'aumento delle accise - ha proseguito Salvini -. Sull'immigrazione le posizioni di Lega e M5s partono da una notevole distanza. Nel rispetto dei diritti umani, della solidarietà mi rifiuto di pensare all'ennesima estate-autunno degli sbarchi, del business dell'immigrazione in saldo. La Lega deve avere mano libera per tutelare la sicurezza dei cittadini». E quando il leader del Carroccio ha aggiunto che lui e Di Maio non stavano litigando «sul nome del premier o su quello dei ministri» dietro di lui Gian Marco Centinaio e Giancarlo Giorgetti si sono scambiati sguardi e sorrisetti eloquenti. Insomma i due leader sono andati allo sbaraglio davanti a Mattarella dopo aver fatto credere che si fosse giunti ad un'intesa peraltro ribadita soltanto poche ore prima dei colloqui dal leghista Nicola Molteni, vicinissimo a Salvini. Molteni intervistato ad Agorà su Raitre alle dieci del mattino dichiarava: «Salvini e Maio, presenteranno un nome unico per il premier e la bozza di contratto che sarà la base programmatica».
La speranza che qualcosa di concreto vedesse la luce ha cominciato ad affievolirsi quando intorno all'ora di pranzo l'incontro tra Di Maio e Salvini è slittato di un'ora riducendo quello che avrebbe dovuto essere un vertice per chiudere l'accordo a un breve incontro per prendere atto che l'accordo non c'era.
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