"Di giorno difendo Boettcher e Foffo ma la notte penso alle loro vittime"

Il legale assiste i protagonisti dei due casi giudiziari che sconvolgono l'Italia

"Di giorno difendo Boettcher e Foffo ma la notte penso alle loro vittime"

Il sito dello Studio legale Andreano si apre con la frase «I vostri diritti la nostra passione». E di «passione» l'avvocato Michele Andreano, 50 anni, ne ha tanta. Nel suo curriculum cause importantissime, quasi sempre chiuse con successo. In questi giorni Andreano gira come una trottola fra tribunali e studi televisivi dove - «bucando» il video - svolge con serrate argomentazioni una missione che più di qualcuno definisce orma mission impossible. L'avvocato Andreano («da una settimana iscritto all'Ordine di Roma», tiene a precisare) sta infatti difendendo contestualmente Alex Boettcher a Milano e Manuel Foffo nella capitale. Boettcher è il «broker» degli agguati con l'acido; Foffo è lo «studente» accusato, insieme al «pr» Marco Prato, di aver massacrato Luca Varani.

Avvocato Andreano, se la definiscono il «difensore dei mostri», lei si offende?

«È una definizione impropria».

In che senso?

«I mostri li creiamo noi. Per scaricarci le coscienze dalle nostre responsabilità».A chi si riferisce quando dice «noi» e «nostre»?

«Alla società nel suo complesso, che non riesce più a educare. A trasmettere valori».

Quindi se c'è gente che si comporta come Boettcher, e Foffo, la colpa è della «società»?

«Non ho detto questo. Il mio pensiero va spesso alle vittime, al dolore delle loro famiglie. Ci penso soprattutto di notte. Ma, di giorno, il mio compito è quello di garantire il diritto alla difesa. Sacrosanto per tutti, senza eccezione».

Lei mi insegna che la responsabilità penale è sempre personale. Altro che società...

«È verissimo. Comunque non farei confusione tra Boettcher e Foffo».

Allora ci aiuti a fare chiarezza.

«Boettcher si dichiara innocente. Foffo invece si è costituito ed è reoconfesso».

Non c'è nulla che li accomuna?

«Direi di no».

Al di là del suo ruolo professionale, qual è il rapporto - da uomo a uomo - tra lei, Alex Boettcher e Manuel Foffo?

«Nel processo Boettcher sono subentrato in un secondo tempo e prima di allora non conoscevo Alex. Nel caso di Foffo, invece, sono stato io stesso ad accompagnarlo dai carabinieri in qualità di legale della famiglia e amico personale di Manuel».

È amico anche di Valter Foffo, il padre di Manuel. È stato lei a consigliare al signor Valter di partecipare alla puntata di «Porta a porta»?

«In quelle ore Valter era sotto una pressione mediatica pazzesca. Farsi intervistare da Vespa, nel talk show più autorevole della televisione italiana, l'ho ritenuta una scelta saggia».

Torniamo un attimo a quando si è ritrovato, da solo, faccia a faccia, con Manuel. Cosa le ha detto?

«Michele, ho ucciso un uomo. Abbiamo ucciso un uomo...».

E lei?

«Non volevo crederci, non potevo crederci».

Invece era tutto tragicamente vero.

«Sì, io per due notti non sono riuscito a dormire. Quella frase non riuscivo proprio a togliermela dalla testa».Un trauma, anche per lei.«Mi sono ricordato di quella volta che con Manuel abbiamo cenato insieme. Stappammo anche una bottiglia di vino importante...».

Brindaste insieme.

«Lui bevve appena un bicchiere. Era misurato. Un bravo ragazzo».

Un «bravo ragazzo», che però ha fatto quello che ha fatto.

«Cocaina e alcol hanno rappresentato un mix micidiale».

Un processo con una sentenza già scritta?

«Delle due l'una: ergastolo o infermità di mente. L'esito degli esami tossicologici sarà decisivo per capire la reale capacità di intendere e volere. E quindi il livello di responsabilità nella consumazione del delitto».

Ha fiducia nella magistratura?

«Sì».

Cos'è la

prima cosa che le ha detto il pm?

«Mi ha chiesto: perché?».Il pm si riferiva al senso di un dramma che - un «perché» - sembra non averlo?«Credo di sì».E lei cosa ha risposto?«Nulla. Quel perché lo conosce solo Dio».

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