I n Francia, la «generazione Bataclan» è andata alle urne e ha scelto il Fronte Nazionale di Marine Le Pen. È stato un debutto. Molti giovani elettori hanno infatti votato per la prima volta alle regionali di domenica scorsa. Secondo le stime di France Info, confermate da dati ufficiali, «il Fronte Nazionale è il partito più votato dai ragazzi tra i 18 e i 24 anni». Il risultato, che si inserisce nella vittoria complessiva della destra, può sorprendere ma solo per le sue proporzioni. Era certo che il Fronte Nazionale sarebbe andato bene. Ha stravinto, anche tra i giovani, che tra l'altro hanno premiato la quasi coetanea Marion Le Pen, terzo anello della dinastia, 26 anni ancora da compiere (dopodomani). Ecco dunque un altro tassello che va a comporre l'identikit della «generazione Bataclan», quella tenuta a battesimo dei massacri islamisti del 13 novembre a Parigi. I ragazzi, dopo l'attacco al teatro Bataclan, hanno scoperto all'improvviso di rischiare la vita in qualunque momento e in qualsiasi luogo. Come accaduto ad altri ragazzi di altre generazioni, hanno perso «il diritto alla spensieratezza», per usare la brillante formula del filosofo Alain Finkielkraut. Forse i ventenni credono che questa condizione sia transitoria. Noi tutti lo speriamo ma alcuni scrittori avevano previsto, fin dagli anni Ottanta, che il terrorismo sarebbe stata la guerra del futuro e che non ce ne saremmo mai più liberati.
Si può battere l'Isis ma altre formazioni, magari di tutt'altra matrice, si faranno avanti perché ormai è dimostrato che si può trascinare nel caos un'intera città con un commando di otto-dieci persone. Questo, forse, è il tragico destino che attende la «generazione Bataclan» e tutte quelle che seguiranno.Torniamo in Francia. I risultati indicano che la «generazione Bataclan» è più varia di quanto si creda. Non è solo «giovane, festaiola, aperta e cosmopolita», come recitava l'efficace titolo del quotidiano Liberation all'indomani delle stragi parigine. Manca qualcosa. È giovane, festaiola, aperta, cosmopolita e anche conservatrice. Non è composta solo dai figli dei borghesi del centro di Parigi, sostenitori del multiculturalismo, almeno a parole. Ne fanno parte anche i figli della classe media della provincia in via di rapida «proletarizzazione». L'industria ha chiuso o si è trasferita altrove, lasciando a casa gli operai specializzati. Agricoltori e piccoli imprenditori sono in difficoltà. Burocrati e impiegati statali si rassegnano ai tagli. La disoccupazione si fa sentire e l'incontro con gli immigrati è uno scontro quotidiano. Questo è il contesto in cui vivono molti giovani, spesso in cerca di un lavoro che non si trova. Non vedono i vantaggi del libero mercato, anzi si sentono vittime della globalizzazione. In Francia esiste un'ampia letteratura sociologica che analizza questa situazione. Ad esempio, si vedano i due discussi saggi di Christophe Guilluy: Fracture françaises (Champs, 2013), e La France périphérique (Flammarion, 2014). Secondo Guilluy, dati alla mano, socialisti e repubblicani si contendono gli elettori delle aree metropolitane ma hanno lasciato senza rappresentanza la provincia della nazione. In particolare, sinistra e sindacati hanno smesso di rappresentare gli interessi della classe media che un tempo prosperava e oggi si impoverisce nelle piccole città. È qui che entra in scena il Fronte Nazionale, con le sue ricette da destra sociale e con i suoi forti accenti contro l'immigrazione incontrollata.
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