Giravolta sull'Italicum: Renzi si prende del baro

Il premier nicchia: nessuna proposta, vediamo le carte degli altri. Fi: "Mai più al tavolo con lui"

Giravolta sull'Italicum: Renzi si prende del baro

Colore cangiante a seconda del contesto, mandibola sporgente, occhi piccoli che diventano più grandi e sporgenti durante la lunga traversata di profondità che lo porta al mar dei Sargassi, unico e misterioso posto nel quale avviene la riproduzione dell'Anguilla anguilla.

Zoologia ed etologia, spesso, riescono a illuminarci sulla nostra politica quotidiana. Prendete ad esempio lo sgusciante premier di questi tempi, che il professor Zagrebelsky ha paragonato al saporito serpentello d'acqua dolce. Più che un capo, il Capitone che rischia di non vedere il prossimo Natale. I sondaggi vanno sempre peggio, per il «Sì» di Matteo Renzi, costretto a inseguire con foga: «La partita è ancora aperta, ci sono molti indecisi». Da due di essi, endorsement imbarazzanti. «Voto sì, ma la riforma è da dilettanti e Renzi è stato indecente sul ponte» (Cacciari); «Voto sì nonostante Renzi, la sua campagna lascia perplessi» (il governatore toscano Rossi). Stile già bocciato dal mentore Napolitano, il quale - sostiene Grillo - usa però l'ansioso giovanotto per far passare «una svolta autoritaria».

Le ultime piroette, gli ultimi spasimi del capitone in fuga, in effetti destano preoccupazioni. Accusa D'Alema di una riforma non fatta da lui (il disastroso titolo V ordito da Amato, ma responsabilità dell'intero Ulivo), si contraddice sul famoso ponte di Messina, questione inopinatamente buttata nell'agone per occhieggiare a un Sud che trascina il fronte del «No». Da ieri è tornato a essere «non una priorità; prima ci sono la banda larga, l'edilizia scolastica, la Salerno-Reggio Calabria, le ferrovie e i viadotti in Sicilia, tutti gli interventi sul dissesto idrogeologico». Già che c'era, poteva metterci l'uomo su Marte e lo scudetto alla Fiorentina. Smascherato dall'ex ministro Matteoli, perché non vi è alcuno stanziamento di fondi, Matteo ha fatto repentina retromarcia.

Peggio, se vogliamo, lo sconcertante cammino dell'Italicum, ricordato con precisione dall'azzurro Brunetta. «Il premier dovrebbe vergognarsi e dimettersi: ha imposto l'Italicum al Parlamento e al Paese con violenza, con sedute fiume, con tre questioni di fiducia alla Camera, ha fatto sostituire dieci commissari pd in commissione solo perché non condividevano l'assurdo impianto di questa cattiva legge elettorale. Il premier mai eletto ha usato ogni mezzo, lecito o meno, per arrivare ad avere il suo Italicum». E persino il capogruppo pd alla Camera fu costretto alle dimissioni. Ora però, pur di raccattare qualche voto, va dicendo d'esser pronto a modificare quella che, secondo lui, resta «ottima legge». Ma vuole sapere prima gli altri come la cambierebbero per regolarsi: «Vediamo le carte degli altri», pretende.

E quando le opposizioni gli fanno notare che ha fatto tutto da solo, e ora per forza se ne parlerà dopo il referendum, ecco venir fuori la reale disponibilità di Renzi: «Non prendiamo alcuna iniziativa per cambiare l'Italicum». Chi farebbe un giro di poker con lui in un saloon? Brunetta l'ha giurato: «Mai più seduti al tavolo con un baro come lui». Al momento della sparatoria, statene certi, sarebbe già sgusciato via.

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