Ma sì, sono giovani. Animati da buone finalità. E sono pure incensurati. Praticamente dei bravi ragazzi. Privarli della libertà personale non sarebbe quindi giusto. Almeno così la pensa il gip di Bologna che ha rigettato la richiesta della Procura la quale, al contrario, degli attivisti del Cua (Comitato universitario autonomo) ha evidentemente un'idea ben diversa, tanto da aver invano avanzato la misura cautelare degli arresti domiciliari. Ma la linea dura della Procura si è scontrata con quella del giudice per le indagini preliminari che ha considerato gli scontri tra studenti antagonisti e polizia avvenuti in piazza Puntoni lo scorso ottobre fuori dalla mensa scolastica universitaria non alla stregua di veri e propri atti gravemente criminali. Il gip ha così preferito disporre per black bloc sotto inchiesta provvedimenti più blandi rispetto agli arresti domiciliari: tre obblighi di firma e un divieto di dimora in città per gli scontri fuori dalla mensa universitaria di ottobre e novembre, in piazza Puntoni. Le notifiche ai diretti interessati sono arrivate ieri dalla Digos, che indaga anche sui tornelli divelti alla biblioteca di via Zamboni 36 e sugli scontri seguiti allo sgombero della stessa struttura: un blitz - quest'ultimo - che risale al mese scorso e che fu sollecitato dal rettore per porre fine a una situazione di illegalità ormai fuori controllo. Dopo l'irruzione delle forze dell'ordine il «36» fu liberato da spacciatori, ladri e balordi vari, ma da allora il portone è rimasto sempre chiuso «in attesa di provvedimenti». Gli incidenti tra studenti e uomini in divisa si sono ripetuti con frequenza e in città la tensione non è mai calata. L'ultimo provvedimento del gip è probabile che si inquadri in una sorta di «strategia della riappacificazione» tesa a ricreare un clima sociale meno rovente. Le parole usate dal gip nella sua ordinanza sembrano andare in questa direzione: «La giovane età degli indagati, il loro stato di formale incensuratezza, le modalità e le finalità entro le quali sono state poste in essere le condotte fanno ritenere che possa essere ipotizzato un efficace effetto dissuasivo (...) mediante un provvedimento che (...) ponga i soggetti indagati in contatto stabile con la polizia giudiziaria». Da sottolineare il passaggio relativo alle «finalità» che hanno ispirato le «condotte» dei collettivi. «Finalità» che sembrano essere considerate «giuste» o comunque non negative dal gip che infatti nella sua ordinanza le cita come elemento discriminante per la non concessione degli arresti avanzati dai pm. Risultato: obbligo di firma per tre dei quattro anarchici. Per un solo indagato il gip ha usato la mano più pesante. Il motivo? Il giovane aveva partecipato agli scontri mentre era già sottoposto ad obbligo di firma, per cui la misura cautelare si è aggravata nel divieto di dimora.
«Sono soddisfatto, il lavoro della polizia giudiziaria è stato ritenuto valido dando una risposta a comportamenti violenti», ha commentato il procuratore capo, escludendo l'idea di un ricorso che «sconta tempistiche non compatibili con le esigenze cautelari che hanno senso se applicate subito».
Pur trattandosi solo di tre obblighi di firma e di un divieto di dimora, la procura è certa che tali misure «impediranno la reiterazione dei reati». Raggiante la reazione del Cua: «L'operato della procura si è rivelato un castello accusatorio caduto miseramente». E ora si può tornare in piazza. A menare le mani.
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