Le vicende romane del Movimento Cinque Stelle hanno portato il partito di Beppe Grillo nell'occhio del ciclone. E hanno fatto emergere le, peraltro già note e più volte sottolineate da osservatori e studiosi del fenomeno, debolezze strutturali del movimento fondato dall'ex comico genovese.
In questi giorni esse sono venute (nuovamente) alla luce in modo prepotente finendo su tutte le prime pagine dei giornali. Su questi ultimi i commentatori hanno posto soprattutto l'accento sulla palese approssimazione di certe scelte e anche sull'incompetenza che taluni esponenti del Movimento hanno talvolta dimostrato. Il fatto è che alcuni, molto giovani e, forse per questo motivo, un poco inesperti, si sono trovati di colpo a dovere gestire responsabilità, anche considerevoli, di gestione e di indirizzo. Evidentemente i temi su cui si è sviluppata la loro crescita politica (la critica all'establishment, alla casta, ecc.), che pure si sono dimostrati molto attraenti per l'elettorato, non forniscono sempre e necessariamente una base di conoscenze sufficiente per poi assumere le redini del governo.
Al riguardo, Claudio Cerasa ha osservato sul Foglio come «i principi grillini sono da molti punti di vista incompatibili con i principi di governo». Ma la «colpa» di tutto questo non sta naturalmente tanto nelle caratteristiche dei singoli individui, quanto in un fenomeno più generale: l'assenza di una vera e organica strutturazione del Movimento che è appunto tale e non è un «partito» come tradizionalmente si intende.
Questa sua connotazione porta a debolezze consistenti nella fase di selezione della leadership e, specialmente, dei candidati alle diverse cariche elettive, spesso prescelti con pochi voti espressi sul web, con una partecipazione straordinariamente modesta della base elettorale (diversamente da come Gianroberto Casaleggio aveva previsto e auspicato). E, al tempo stesso, ad un processo decisionale fortemente concentrato nei vertice peraltro non sempre presente e totalmente privo di procedure condivise interne, specie nei momenti cruciali.
Probabilmente anche per questi motivi, solo una minoranza (anche se consistente) degli italiani, pari al 25%, ritiene oggi che «sarebbe una cosa positiva» che i Cinque Stelle andassero al governo del Paese in caso di loro vittoria alle elezioni politiche nazionali. È uno dei dati che emerge da un sondaggio su di un campione rappresentativo della popolazione adulta italiana, condotto mercoledì scorso dall'Istituto Eumetra Monterosa. È immediato notare come la percentuale di quanti ritengono che i grillini siano adatti al governo del Paese risulti persino inferiore allo stesso seguito attuale del M5S, che ancora negli ultimi giorni è stato stimato attorno al 29% (anche se una recentissima rilevazione, che andrà tuttavia verificata in seguito, ipotizza un calo del M5S sino al 25%). Sta di fatto che nel sondaggio di Eumetra Monterosa, anche tra coloro che dichiarano di votare oggi per il movimento di Grillo, si riscontra un 4% di perplessi nel pensare il M5S alla guida dell'esecutivo. È interessante rilevare come i sostenitori del M5S al governo sono in particolare i più giovani di età. Infatti, il 25% di convinti dell'utilità di una ascesa al governo dei pentastellati si accresce considerevolmente isolando la popolazione under 24: tra costoro è ben il 44% a pensarla così, segno di una molto più elevata popolarità del Movimento di Grillo tra le nuove generazioni di elettori.
A fronte del 25% di fautori di una ascesa al governo dei grillini, una percentuale superiore, il 28%, dichiara espressamente che questi ultimi «non sono in grado di governare». Questa opinione è relativamente più diffusa tra i meno giovani e tra chi ha un titolo di studio più elevato, con una ulteriore accentuazione tra i laureati, ove raggiunge il 37%.
Ma il risultato che più colpisce per la sua diffusione nelle risposte a questo sondaggio è la popolarità della risposta che afferma come la presenza del M5S al governo risulti essere in fin dei conti indifferente tanto i partiti sono tutti uguali. È un'opinione superficiale, affrettata, ma molto presente tra chi ed è, spesso lo si dimentica, la grande maggioranza degli italiani segue poco e distrattamente le vicende politiche. Si tratta per lo più di persone con un basso titolo di studio, casalinghe, pensionati, ma anche molti disoccupati o in cerca di prima occupazione. È tra costoro che più spesso si trova chi si astiene alle elezioni o è comunque tentato dal farlo. Ciò che anima questo segmento di elettori è un radicato disprezzo verso la politica e i suoi esponenti (compresi, in parte, una porzione di quelli del Movimento Cinque Stelle coinvolti nelle vicende di questi giorni), un senso di forte lontananza dalle istituzioni democratiche rappresentative e, come ha osservato Stefano Folli, un rancore permanente e una assoluta sfiducia verso chi governa o si trova comunque vicino all'area governativa.
È proprio questa la base potenziale di movimenti populisti come il M5S. Anche i risultati di questo sondaggio mostrano dunque come, al di là della sfiducia che appare oggi coinvolgere anche il Movimento di Grillo, il sentimento populista continui a restare molto (troppo) ampio nel nostro Paese. Ed è significativo che esso sia presente anche in parte dell'elettorato dei partiti tradizionali, tanto che il 31% degli elettori del Pd, il 39% di quelli di Forza Italia e addirittura il 54% dei votanti per la Lega Nord (oltre, naturalmente, il 66% di chi è intenzionato ad astenersi) non esisti ad affermare che i partiti compreso il M5S sono tutti uguali.
Insomma: se è vero che dalla vicenda romana i Cinque Stelle hanno perso parte della loro credibilità (ciò che si
potrebbe ma il condizionale è d'obbligo tramutare in una erosione del loro seguito elettorale), è vero anche che le altre forze politiche non ne hanno acquisita. Lasciando intatto il potenziale populista del nostro Paese.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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