Il «premier che non c'è», protagonista assoluto del film tragicomico andato in onda ieri al Quirinale, rischia di mandare in tilt il patto M5s-Lega. E il governo gialloverde, che doveva essere del «cambiamento», sembra impantanarsi nelle sabbie mobili dei riti della vecchia politica.
I due «vincitori» delle elezioni appaiono incapaci di esercitare le arti della mediazione e della diplomazia per trovare un nome, un solo nome, che vada bene a tutti. E al Quirinale, dopo aver sbandierato che la scelta era stata fatta, Luigi Di Maio e Matteo Salvini si vantano del loro fallimento, spacciando l'incapacità per innovazione e sfoggiando l'orgoglio di «questionare» non sul totopremier ma sul programma. Chiedono non ore, ma addirittura giorni, mentre l'impasse, a 2 mesi e mezzo dal voto, diventa imbarazzante, altro che «responsabilità». «Nomi non ne facciamo in pubblico», sfugge il leader 5s dopo l'incontro con un incredulo Sergio Mattarella. «Stiamo discutendo, anche animatamente, sull'idea di Italia», assicura Salvini. Solo che l'Italia è stufa di aspettare la fine di una trattativa che promette sempre per l'indomani la soluzione e poi ricomincia daccapo.
Ed è proprio sul personaggio-chiave del premier che si gioca la credibilità e l'agibilità del futuro governo. Sarà lui a rivelare l'equilibrio tra le due forze e anche le possibilità di affrontare davvero i problemi interni e internazionali. Il braccio di ferro tra Di Maio, che voleva andare a tutti i costi a Palazzo Chigi e Salvini, che voleva tutti tranne lui, ha spinto il leder leghista a buttare avanti il suo numero 2 Giancarlo Giorgetti, ma è andato a sbattere. Poi è sfumata anche l'ipotesi di una staffetta tra i due leader. E sul nome terzo, nessun accordo. Il «premier che non c'è», aveva annunciato Di Maio, doveva essere «sempre politico mai tecnico». Eppure, il governo politico, nato sull'odio per il modello Monti, ha dovuto ragionare su profili di esperti non parlamentari. «Un premier tecnico competente non è una bestemmia», ha detto il governatore della Liguria Giovanni Toti, di Fi ma vicino a Salvini. Chi allora? Una figura di basso profilo, manovrabile dietro le quinte, o una di rilievo, in Europa e nel mondo per le sue competenze? Peccato che trovarne una della seconda specie sia stato impossibile, per la «grande fuga» di tutti i più qualificati. Un po' come successe a Roma, quando la sindaca 5Stelle Virginia Raggi cercava di reclutare big per dar lustro al suo governo e collezionava rifiuti.
Dicono che il leader grillino ieri abbia proposto al capo dello Stato Giuseppe Conte, ordinario di diritto privato all'Università di Firenze, che era nella lista di ministri 5s per la Pubblica amministrazione. Se è andata così, il prof non ha superato l'esame. Scalpitava per essere premier l'economista Giulio Sapelli della Statale di Milano, ex del cda dell'Eni, soprattutto ex docente di Salvini, ma a bocciarlo sono stati i 5s. Ha raccontato di una convocazione domenica sera da parte di grillini e leghisti e di aver dato la sua disponibilità. Ma subito è arrivata la smentito e lui: «Hanno cambiato parere. Peccato, ci tenevo a fare qualcosa, mi sembrava un buon programma. Ma a condizione che Siniscalco fosse ministro del Tesoro, il premier deve scegliere i suoi ministri». Il punto è anche questo. Di Maio e Salvini cercano qualcuno che si sieda a capotavola con il menu già stabilito e i commensali scelti da altri. Difficile che uno di successo accetti di fare il burattino.
L'ambasciatore Giampiero Massolo (già alla guida dei servizi segreti e oggi della Fincantieri), 4 giorni fa sembrava in pole position, ma pare abbia declinato l'offerta. L'ex rettore della Bocconi Guido Tabellini ha smentito contatti. Dell'exm inistro Giulio Tremonti il leghista Nicola Molteni ha detto: «Ha già dato». Roberto Maroni sembra non abbia mai avuto chance.
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