Il Granducato che accoglie multinazionali e ha raccolto 2100 miliardi di capitali esteri

L'ipocrisia di un microstato ricchissimo grazie alla scarsa trasparenza fiscale

Il Granducato che accoglie multinazionali e ha raccolto 2100 miliardi di capitali esteri

Jean Asselborn, il socialista amico dei migranti, è da 14 anni l'inamovibile ministro degli esteri di un Granducato dove l'accoglienza riguarda più le grandi multinazionali inseguite dal fisco che non i disgraziati in fuga da guerre e carestie. Asselborn, del resto, incarna alla perfezione l'ipocrisia lussemburghese. L'ipocrisia di chi, nel nome della solidarietà, apre le porte a masse di disgraziati da utilizzare come nuovi schiavi al servizio dei grandi gruppi internazionali.

Ma l'avido perbenismo di Jean Asselborn è, in fondo, la pietra fondante di quella Bengodi d'Europa chiamata Lussemburgo. Una Bengodi in cui mezzo milione di cittadini mal contati possono contare, stando ai dati del Fondo Monetario Internazionale del 2016, su un prodotto interno lordo pro capite di oltre 104 mila dollari, secondo solo ai 127 mila dollari pro-capite del Qatar. In questo caso, però, il benessere non deriva da gas o altre risorse naturali, bensì da una legislazione pensata ad arte dai governi guidati dall'attuale Presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker d'intesa con il Partito Operaio Socialista del buon Asselborn. Nel nome di quell'alleanza questo baldanzoso ministro socialista ha partecipato al confezionamento di una legislazione studiata per garantire cospicui risparmi fiscali alle grandi multinazionali in cambio di una sistematica frode ai danni dei «fratelli» europei.

Secondo Gabriele Zucman, autore di «La Richesse cachée des nations», best seller francese sulla fuga dei capitali, circa due terzi dei circa 800 miliardi d'euro depositati in Svizzera sono passati attraverso fondi lussemburghesi senza generare un solo euro di tasse. E infatti, dopo ad esser stato per molti anni uno dei due soli paesi dell'Unione Europea, assieme all'Austria, dove non era garantita la trasparenza fiscale, il Lussemburgo resta oggi la sede legale preferita dalle grandi multinazionali impegnate a eludere le imposte nazionali.

Prima fra tutti quell'Amazon che scegliendo come sede un Granducato dove il livello di tassazione non supera il 6 per cento ha sottratto al fisco statunitense centinaia di milioni di imposte annue. Un trucchetto non sfuggito all'occhio lungo di Washington che ha preteso da Amazon un miliardo e mezzo di dollari in tasse sui proventi occulti generati grazie agli accordi con il Granducato. Grazie all'accoglienza riservata alle multinazionali alla ricerca di tassazioni agevolate il Lussemburgo dei vari Asselborn e Juncker si è trasformato in un'autentica Tortuga dell'evasione fiscale. Una Tortuga silenziosa e discreta che da una parte inneggia ai valori di Bruxelles e dell'Europa e dall'altra froda i «fratelli» europei garantendo sedi legali esentasse alle multinazionali e conti sicuri agli evasori. Un lavoro oscuro, ma sopraffino grazie al quale questo «sgabuzzino» d'Europa, grande meno della metà della provincia di Roma, ha attratto oltre 2.100 miliardi di euro di capitali esteri custoditi in oltre 140 istituti bancari. Tra questo mare di miliardi e fondi grigi fluttuavano, come emerso nel 2010, anche quelli del defunto dittatore nord coreano Kim Jong-Il. Un dittatore stalinista nell'anima, ma abbastanza liberale nella gestione del patrimonio personale da comprendere che le coperture europee rendevano il Lussemburgo assai più impermeabile della chiacchierata Svizzera. Così mentre la Confederazione inaspriva i controlli oltre 4 miliardi di dollari nord coreani lasciavano le banche elvetiche per quelle lussemburghesi. Una manovra definita da Ken Kato, direttore di Human Rights Asia «la più vasta operazione di riciclaggio...su cui i destinatari finale dei fondi non esercitarono l'attenzione richiesta».

Un'accusa scivolata sulle spalle del ministro degli esteri Jean Asserborn nemico giurato del «fascista» Salvini, ma assai attento, negli anni passati, a garantire la tranquillità dei fondi esteri del sanguinario Kim Jong Il.

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