«Uno tsunami umano poi solo paura, sangue e feriti»: è la testimonianza di Francesco, uno delle oltre 1.500 persone ferite negli incidenti avvenuti sabato sera in piazza San Carlo a Torino, durante la diretta sul maxi schermo della finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid.
Gli ospedali torinesi sono stati invasi dai feriti: al Mauriziano gli accessi sono stati 150 con diverse persone trattenute in osservazione per traumi e fratture. Oltre 350 alle Molinette e al Cto: il primo accoglie ancora due donne in gravi condizioni, ricoverate in rianimazione in coma farmacologico con prognosi riservata, il secondo ospita una trentina di pazienti ricoverati, tra cui sei codici giallo. Numeri simili al Maria Vittoria in cui si sono presentati in 171 soprattutto per ferite da taglio e contusioni. Al Giovanni Bosco 72 accessi, tra questi una ragazza andata in arresto cardiaco e un signore di 66 anni con trauma toracico ed ematoma lacero contusivo frontale. Il Martini ne ha curati e dimessi 50, ne restano 20 sotto osservazione.
Dei 1.527 feriti, 1.142 sono stati medicati negli ospedali e dimessi. Un bilancio spaventoso di cui fanno parte anche 5 bambini. «È stato tremendo, è stato come essere sepolti vivi» ha raccontato Angela, sorella di Kevin, il ferito più grave. Il bimbo di soli 7 anni è rimasto schiacciato dalla folla in preda al panico di un attentato dell'Isis riportando un grave trauma toracico. «A me non piace il calcio - ha spiegato la ragazza con un ginocchio e un piede medicato - ma avevo accettato di andare in piazza per accontentare il mio fratellino che come tutti i bambini gioca a pallone ed è tifoso. Eravamo arrivati da poco e già pensavamo di andare via perché c'era troppa gente ma non abbiamo fatto in tempo». Poco dopo la corsa in ospedale e il ricovero al Regina Margherita. «Domani (oggi, ndr) sveglieranno mio figlio dal coma farmacologico, i medici dicono che sta un po' meglio», ha rivelato il padre del piccolo, che ieri ha ricevuto la visita del numero uno della Figc Carlo Tavecchio e del dg juventino Beppe Marotta.
E pensare che avrebbe dovuto essere la serata dei sogni, quella che ogni tifoso come Kevin desidera. «Ho speso oltre 600 euro per venire da Cagliari e ho rischiato la pelle», ci confida Leonardo. Il volto è ancora scosso e la voce si spezza ad intermittenza: «Ero nelle prime file, vicino al maxi schermo». «Una manciata di minuti dopo il terzo gol del Real, ho sentito il rumore di bottiglie che si rompevano, poi la folla che urlava e avanzava terrorizzata - racconta - Non ho pensato a nulla, avevo paura e mi sono messo a correre. Non ne sono certo ma temo di aver calpestato qualcuno nella fuga». I momenti successivi sono annebbiati: «Ricordo le persone che vagano per le strade in cerca di amico o un parente e le ferite sanguinanti rattoppate con magliette o sciarpe».
Un racconto straziante che fa eco a quello di Francesco: «Ero con un amico di Milano, nella ressa ci siamo persi. Il terrore mi ha spinto a sfondare un portone di un condominio vicino alla piazza. Ho iniziato a bussare a tutte le porte che trovavo davanti in cerca di un luogo sicuro dove nascondermi». Frank, come lo chiamano gli amici, si sforza a raccontare quei minuti: «Solo un gruppo di studentesse mi ha aperto e mi ha dato riparo. Alle mie spalle solo le urla della gente che entrava nel mio stesso stabile gridando qualcuno ha sparato, aiuto. Alla fine in quel appartamento eravamo in 70». Tra questi anche Daniel, studente di medicina, fuggito senza un scarpa dalla folla. «Dopo mezz'ora dal grande spavento iniziale sono tornato a cercarla e l'ho ritrovata, attorno a me una scena che mai avrei creduto di vedere: vetri sparsi ovunque, magliette, sciarpe bandiere a terra. Il sangue dei feriti macchiava il cemento e il granito.
Sinceramente - spiega - non so cosa sia successo ma ho avuto veramente paura di morire».La Procura indagherà per risalire alle cause che hanno scatenato il panico tra i tifosi e i presenti all'evento in San Carlo ma in molti promettono: «Mai più in piazza».
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