Caro direttore,
ho letto l'articolo di Nicola Porro ( Il Giornale del 15/7) sulla faccenda del bancomat finito nel mirino dell'Agenzia delle Entrate e mi complimento. Sono testimone della follia di questo tentativo governativo, avendo subìto un accertamento l'anno scorso. Ho impiegato vari mesi per tentare di giustificare i miei prelievi dal bancomat, ma la faccenda non è stata semplice in quanto mi si chiedeva conto di prelievi risalenti a ben cinque anni prima.
Per fortuna la contabilità del mio studio professionale era perfetta e quella personale era stata tenuta diligentemente ma, ovviamente, esposta alle approssimazioni del caso. Inizialmente mi è stata chiesta la giustificazione di prelievi oltre i 500 euro, ma quando sono riuscito fortunatamente a giustificare i 3/4 di quei prelievi, la soglia della richiesta si è abbassata a 100 euro. Al punto che un giorno, esasperato per non aver trovato alcuna pezza d'appoggio per un prelievo di 200 euro, chiamai in disparte il funzionario-inquisitore al quale, serissimo, confidai che quei 200 euro li avevo spesi a puttane e lo pregai, ad evitare una crisi del mio rapporto coniugale, di... sorvolare!
Per farla breve, poiché il funzionario non voleva riconoscere che con me aveva «bucato» e che, come gli avevo indicato, altri erano i veri evasori (che gli «algoritmi» dell'Agenzia non riescono ad individuare), chiesi un incontro con il Direttore dell'Agenzia.
Il quale, una volta esaminato il mio reddito annuo e accortosi che non ero riuscito a giustificare circa 10mila euro in un anno, archiviò la faccenda in pochi minuti, con me convenendo che le norme (le loro norme, regole e metodi) spesso sono inutili o controproducenti.Questa l'avventura di un ex senatore che, purtroppo, non si è mai potuto occupare di «fisco» ma solo, o quasi, di «giustizia».
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