Il ministero dell'Interno vuol riaprire i Cie (centri di identificazione ed espulsione), ma a che prezzo?
Delle nove strutture che un tempo li ospitavano, oggi ne rimangono solo quattro, la maggior parte delle quali inagibili per metà a causa dei danneggiamenti procurati dagli stessi ospiti. Le altre sono chiuse da tempo e necessitano di manutenzioni o ristrutturazioni ingenti, che costeranno somme non di poco conto.
Oltre alle spese di gestione, infatti, lo Stato spende un sacco di soldi anche per quelle di mantenimento, perché queste strutture sono costantemente vandalizzate. I costi di ripristino vengono identificati come spese d'urgenza, che bypassano quindi qualsiasi gara, ma che pesano inevitabilmente sulle tasche degli italiani. A questo si devono aggiungere i soldi per le cooperative o gli altri enti gestori, che ottengono l'appalto attraverso bandi specifici, quelli per il mantenimento degli ospiti e così via. Insomma, un problema, più che una soluzione.
«Oltretutto - spiega Massimo Mandorino del Sap (sindacato autonomo di polizia) di Bologna, che lavorava al commissariato Bolognina Ponte Vecchio, che un tempo aveva la gestione del Cie di quella città, poi chiuso - queste persone rimangono un sacco di tempo in quegli edifici e, inevitabilmente, si creano problemi di ordine pubblico. Ultimamente nei Cie gli ospiti rimangono 60 giorni, ma non sono sufficienti perché non bastano per arrivare a identificazione certa, visto che per quella serve che il Paese in cui vengono rispediti confermi la loro identità. Sotto il governo Berlusconi i tempi si erano allungati a 18 mesi, ma almeno si identificava molta più gente e qualche rimpatrio avveniva».
Così, invece, accade che gli immigrati vengono ospitati nei Cie, da dove scappano o, dopo un po' tornano liberi di vagare.
«Ora - continua Mandorino - viene rinnovato continuamente il decreto di espulsione, ma così si produce solo una mole di carta che è senza esito e questi restano in giro per le strade italiane. Coattivamente è raro si rimandi indietro qualcuno, a meno che - conclude - non si tratti di presunti terroristi e, allora, in quel caso non è più un'espulsione amministrativa, ma disposta dal ministro dell'Interno e non dal prefetto della città e del luogo in cui viene rintracciato il clandestino».
Secondo i dati forniti dal ministero dell'Interno, i Cie attualmente attivi in Italia sono quattro: quello di Brindisi, che conta ( al 30 dicembre) 47 presenze e ha una capienza effettiva di 48 ed è gestito dall'associazione culturale Acuarinto, quello di Caltanisetta, gestito da Auxilium, che ha 93 presenze e una capacità di accoglienza di 96 posti, ma una capienza ridotta a causa di lavori manutentivi in corso. C'è poi il Cie di Roma, che ospita 58 persone, ha una capienza effettiva di 125 e teorica di 250, ma la cooperativa Gepsa, che lo gestisce, ha comunicato la chiusura dell'intero settore maschile, per cui la capienza del centro è dimezzata. Infine, è attivo il Cie di Torino, che ha 90 persone, ma potrebbe ospitarne 180 in totale. È gestita da Rti-Gepsa e associazione culturale Acuarinto.
Le altre strutture che ospitavano i Cie sono attualmente chiuse.
A Bari, che aveva una capienza teorica di 196 posti e che era gestito da Connecting People, i lavori in corso rendono l'edificio inagibile, a Bologna erano ospitate 95 persone, ma il centro è stato definitivamente chiuso, a Crotone a gestire erano le Misericordie d'Italia e i posti totali erano 30, ma l'edificio non è agibile dal 7 marzo dello scorso anno, a Gorizia, dove era di casa ancora la Connecting People, la struttura aveva una capienza di 248 persone, ma il centro è stato chiuso per «lavori di ripristino dei locali danneggiati», mentre a Milano il centro gestito dalla Croce Rossa e che poteva ospitare 250 persone, è stato definitivamente chiuso. Insomma, dei 1.393 posti teoricamente disponibili si ha una capienza di 395 persone e si hanno solo 288 presenze di cui 43 donne.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.