I cristiani perseguitati nel mondo perché portatori di pace

Dalla Libia all'Irak, passando per la Siria. Un dramma che passa troppo spesso sotto silenzio. Sostieni il reportage

I cristiani perseguitati nel mondo perché portatori di pace

Libia, Iraq, Siria e Nigeria, ma non solo. È in questi Paesi che si registrano le più feroci persecuzioni nei confronti dei cristiani. Un tema che spesso rimane ai margini del dibattito politico ma che per un pomeriggio è stato al centro del dibattito dal titolo “perseguiteranno anche voi” che si è tenuto presso la Camera dei Deputati. A fare gli onori di casa è stato il questore Stefano Dambruoso, il giornalista Franco Di Mare ha fatto da moderatore ma l’iniziativa è partita dall’ex parlamentare Alfredo Mantovano e dal giornalista Gian Micalessin.

È stato proprio l’inviato di guerra del Giornale a descrivere come i cristiani di quelle terre siano stati dimenticati e quali siano stati gli effetti delle primavere arabe. Micalessin ha dapprima ricordato del suo incontro nel 2012 al memoriale di San Paolo a Damasco con Padre Hanna Jallouf che lo ammonì degli errori che stava commettendo l’Occidente:"Guarda che io con le mie mani ho dissepolto i soldati siriani fatti a pezzi, decapitati da quelli che voi chiamate combattenti per la democrazia". “E lo stesso racconto, - prosegue Micalessin - anche se in maniera meno drammatica, mi viene fatto da monsignor Audo, vescovo caldeo di Aleppo che mi dice: ‘Voi in Europa badate soltanto ai soldi e alla finanza ma avete perso il senso delle vostre radici che non sono quelle di coloro che sgozzano e uccidono ma siamo noi cristiani. Noi abbiamo portato in Europa quei sentimenti di libertà e democrazia da cui sono nate le vostre democrazie ma voi vi state dimenticando di noi". Poi il pensiero va subito a padre Dall'Oglio che “era andato a Raqqa a cercare di incontrare Al Bagdadi e da quel giorno è scomparso e noi ancora aspettiamo di sapere quale sia la sua sorte. Abbiamo dovuto aspettare l'estate del 2014 per capire che l'Isis è il mostro e avevamo dimenticato che i nostri principali alleati e fratelli, non solo nella fede, erano i cristiani che per anni sono stati gli ingranaggi della convivenza in Medio Oriente”. Altrettanto significativa e toccante è stata la testimonianza di padre Bernardo Cervellera, direttore di Asianews, che ha vissuto per anni in Cina e che ha ricordato come anche nel lontano Oriente ai preti vengano ancora negate degne sepolture, mentre “in Iraq, dopo che la coalizione internazionale se n'è andata, gli aziri e i sunniti sono stati perseguitati”. I cristiani, secondo Cervellera, fanno paura perché “sono la garanzia dello sviluppo dei diritti delle donne, dell'istruzione e dei buoni rapporti tra sciiti e sunniti. Sono colpite anche le scuole femminili” e dell’instabilità di questi Paesi si deve fare carico “l'Occidente che finora ha globalizzato il denaro e le merci ma non la dignità umana e i diritti”.

E a preoccupare i partecipanti della tavola rotonda è soprattutto la Libia. L’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini ha invitato alla “calma” e si è rivolto a chi invoca l’intervento militare chiedendo: “A favore di chi? E per fare cosa?” e ha definito un’idiozia “l’esportazione della democrazia di Bush”. Molto più a favore di un intervento militare si è mostrato, invece, l’ex parlamentare Mantovano secondo cui: “I fatti di Parigi e Copenaghen ci dicono una cosa: se noi non ci occupiamo di loro, loro si occuperanno di noi. Se noi occidentali non interveniamo militarmente per paura che un nostro soldato torni in una bara, un nostro concittadino finirà in una bara”. Per Mantovano, dunque, “l'unica strategia militare utile è quella multilaterale” perché “come ha affermato Papa Francesco l'aggressore ingiusto va combattuto ma sotto l'egida di organizzazioni Internazionali” ed è necessario “coinvolgere anche i Paesi arabi per non lasciare all'Isis l’alibi di dire che si tratta di una guerra crociata”. Per Michele Valensise, segretario generale del ministero degli Esteri, l’unica via possibile è quella diplomatica perché “l'Italia ha tutte le carte in regola per giocare la sua partita in base alle sue possibilità” ed evitare che “La Libia diventi la nuova Somalia”.

“Noi come Italia – ha spiegato Valensise - abbiamo una posizione privilegiata, non siamo visti con sospetto come la Francia o la Gb. La nostra presenza lì è funzionale a un dialogo tra le due fazioni libiche, quella di Tobruk e quella di Tripoli”.

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