"I nostri militari in Lettonia? Un boomerang per l'Italia"

Parla l'esperto: la missione guidata dalla Nato è una scelta miope che danneggerà anche l'economia

"I nostri militari in Lettonia? Un boomerang per l'Italia"

La missione di sorveglianza nell'area del Baltico, con il dispiegamento di 140 soldati italiani al confine con la Lettonia, potrebbe costarci molto cara in termini di tenuta economica. Lo rivela il professor Aldo Ferrari, massimo esperto di Eurasia, nonché docente di Lingua e letteratura armena, Storia del Caucaso e Storia della cultura Russa presso l'Università Cà Foscari di Venezia. Dalle sue riflessioni si evince come «la politica Nato sia in questa fase distruttiva e miope». Il segretario della Nato Stoltenberg ha spiegato che l'Italia ha sempre fornito un contributo all'impostazione di un rafforzamento degli assetti difensivi nei Paesi orientali dell'Alleanza. Però questa volta la strategia sembra meno credibile a suo avviso.

«Sì perché si sta facendo un passo verso una direzione sbagliata. Il piano della Nato non servirà a risolvere criticità, semmai ad aumentarle, creando problemi non solo di comunicazione nell'Unione Europea, ma persino in Ucraina e in Siria».

In che misura l'Italia potrebbe risultare responsabile di un cambiamento degli scenari e degli equilibri politici e militari?

«Non parlerei di vera e propria responsabilità da parte nostra. Alla fine non siamo altro che l'anello di una catena. Rientriamo in un progetto e in alleanze che alla fine ci impongono dall'alto che cosa fare».

Lei si esprime totalmente in termini negativi sul piano annunciato dalla Nato, o vede qualche spiraglio positivo in prospettiva futura?

«Purtroppo vedo nero. Siamo di fronte a un braccio di ferro che non porterà a vincitori o a vinti. È una prova di forza dove alla fine non ci guadagnerà nessuno. Anzi, ci troveremo in una situazione di debolezza, anche economica».

È un errore che va imputato in via esclusiva alla Casa Bianca?

«I massimi responsabili di questa nuova strategia militare sono loro in ultima analisi. La decisione di inviare uomini nello scacchiere baltico è stata presa con grande miopia e senza una valutazione oggettiva di quelle che potranno essere le conseguenze».

Nell'ennesima prova di forza tra Russia e Stati Uniti l'Italia rischia di finire schiacciata in maniera irreparabile?

«Non vedo altre prospettive all'orizzonte. Per l'Italia il dispiegamento di truppe nei Baltici si dimostrerà un boomerang».

Intende che provocherà problemi di natura economica, mettendo a rischio tra le altre cose gli investimenti delle oltre 400 nostre aziende presenti in Russia?

«È evidente. I due anni di embargo hanno danneggiato più l'Italia, e in generale i Paesi esportatori, della Russia stessa. L'economia russa si è stabilizzata anche grazie alla nascita di una nuova produzione che ha sostituito i prodotti finiti sotto embargo. Non vedo che cosa può portare di buono un nuovo inasprimento di rapporti con Mosca».

Lei sta dicendo che le mosse che dovevano indebolire Putin hanno rafforzato il leader del Cremlino?

«Lo dicono i numeri. Al made in Italy la questione Russia è costata 3,6 miliardi di euro. L'export italiano è passato dai 10,7 miliardi del 2013 ai 7,1 miliardi di euro del 2015. Siamo ad un calo che supera abbondantemente il 30%.

E nel frattempo c'è stato anche un riavvicinamento fra Putin e Erdogan.

«Che ha permesso alla Turchia di poter riprendere le esportazioni verso la Russia, ottenendo in cambio la riapertura dell'indotto turistico verso Istanbul. Senza dimenticare gli scambi, ben più determinanti, legati al gas e al petrolio».

Noi risultiamo perdenti, così come l'Ue. E gli Stati Uniti?

«Hanno lanciato il sasso e nasconderanno la

mano, nel senso che i promotori di questa iniziativa militare non hanno un interscambio commerciale significativo con la Russia. O comunque non tale da danneggiare l'economia americana. Le incognite sono tutte degli alleati».

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