I passaggi in Italia dei terroristi: coperture, complicità e legami

Gli jihadisti che hanno agito a Parigi e a Bruxelles sono transitati nel nostro Paese nel 2015. Si indaga sulla rete di supporto utilizzata: cruciale l'arresto del 40enne algerino a Salerno

I passaggi in Italia dei terroristi: coperture, complicità e legami

I terroristi che hanno agito prima a Parigi e poi a Bruxelles sono passati più volte per l'Italia, al Nord e al Sud hanno avuto supporto e complicità, hanno potuto pianificare le stragi. Le loro scorribande sono state coperte da una rete che almeno in parte potrebbe ancora essere attiva.Non pesci piccoli. Uno è il kamikaze della stazione della metropolitana belga di Maelbeek, Khalid El Bakraoui, che ha dormito in un albergo di Venezia il 23 luglio scorso e poi si è imbarcato all'aeroporto Marco Polo per volare in Grecia. L'altro è Salah Abdeslam, fuggito dalla capitale francese dopo gli attentati e catturato pochi giorni fa in Belgio, a Molenbeek, che è arrivato in Puglia il 1° agosto per imbarcarsi da Bari diretto a Patrasso e forse in Siria, tornando cinque giorni dopo per risalire la Penisola e arrivare in Belgio. L'Italia è stata per loro un facile transito solamente, oppure l'hanno sfruttata per ottenere documenti, armi, denaro e chissà che altro?Tre giorni fa a Bellizzi, in provincia di Salerno, è stato arrestato un 40enne algerino, Djamal Eddine Ouali, accusato di aver falsificato i documenti necessari a diversi terroristi, compresi Salah e uno dei kamikaze dell'aeroporto belga. Era colpito da un mandato di arresto europeo emesso dalla magistratura belga. Arrivato a gennaio, era stato individuato dalla Digos perché la moglie incinta aveva chiesto il permesso di soggiorno temporaneo, facendo scattare i controlli dell'ufficio immigrazione della questura di Salerno.Il suo nome era venuto fuori in una perquisizione in un covo di falsari in un sobborgo di Bruxelles, qualche settimana prima delle stragi di Parigi. Ora Ouali è rinchiuso nel carcere di Fuorni e si professa innocente, ma sarà presto estradato e dell'indagine si occuperà il Belgio.Poi c'è il 28enne marocchino e pluripregiudicato Mohammed Lahlaoui, vissuto tra il 2007 e il 2014 a Vestone, in provincia di Brescia, e arrestato dalla polizia tedesca a Giessen, 70 chilometri da Francoforte. È sospettato di legami sia con il terrorista El Bakraoui sia con Salah. Un uomo ben conosciuto dalle forze dell'ordine per i suoi molti precedenti per stupefacenti, reati contro il patrimonio e la persona.Nel 2014 era finito agli arresti domiciliari per tentato omicidio, porto abusivo di armi e evasione. Non si sa quando sia passato all'estremismo jihadista dalla criminalità comune, ma sul cellulare di Lahlaoui c'erano messaggi molto compromettenti con la data del 22 marzo, quella delle stragi nell'aeroporto e nella metropolitana di Bruxelles.Sms che appaiono agghiaccianti, perché uno conteneva il nome del kamikaze della metro, El Bakraoui, e un altro la parola «fin», che vuol dire «fine» in francese. Quest'ultimo sarebbe stato inviato alle 9.08. Tre minuti prima che il terrorista si facesse esplodere nella stazione di Maelbeek.La storia di quest'uomo, con precedenti penali sia in Italia sia in Germania, per cui gli era stato vietato di rientrare nelle frontiere europee dello spazio di Schengen, sembra il paradigma dell'incapacità dell'Ue di agire all'unisono nella lotta al terrorismo, scambiandosi informazioni, coordinando intelligence, polizia e magistratura.

Sotto accusa, naturalmente, finiscono anche i nostri servizi segreti, le forze dell'ordine, le toghe che in tante occasioni hanno avuto a che fare con lui e mai hanno indagato a fondo, per rintracciare quel filo rosso che, attraverso Lahlaoui, collega il nostro Paese con le capitali insanguinate di Francia e Belgio.

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