Roma - Gli attribuisce «toni da ultrà», il Matteo Renzi già in piena campagna elettorale. Ma quando parla dello strappo del presidente del Senato, Piero Grasso, non è soltanto la prudenza istituzionale a motivarne il rispetto. Ieri Renzi ha parlato anche di «dolore», e per una volta gli si può credere: l'abbandono di Grasso fa e farà assai male al Nazareno. Gli effetti potrebbero vedersi già nel voto siciliano di domenica prossima. Si è trattato di un «colpo» a lungo sperato e atteso, da parte dell'uomo che di Grasso «politico» è stato mentore, ovvero Pier Luigi Bersani. Costretto a tenerselo in canna per le note ritrosie istituzionali del numero uno di Palazzo Madama, e pur conoscendo per filo e per segno lo stato di esasperazione cui il presidente era giunto con il proprio gruppo (da ultimo, la vergognosa promessa di un «seggio sicuro» in cambio della malleabilità sulla fiducia). I numeri di una leadership «grassiana» sulla litigiosa sinistra sono tali da rendere assai inquieto Renzi. Secondo un sondaggio della Ipr Marketing per Il Giorno, Grasso porterebbe il futuribile rassemblement al 15 per cento. Percepito come «uomo di Stato», sarebbe l'incarnazione del «nuovo Ulivo di sinistra» che era nell'animo di Bersani e D'Alema quando fondarono Mdp. Non è un caso che ieri, intervistato dall'Huffingtonpost, Niki Vendola l'abbia già incoronato parlandone come il «nostro programma vivente». La fiducia riscossa dal presidente del Senato si aggira sul 70 per cento, e altissima è la percentuale degli elettori del Pd nel manifestarla. Segno che la «seconda scissione» sta avvenendo senza clamori né lacrime d'addio, bensì con la semplice rivelazione fatta da Grasso che «il re è nudo» e il potere di Renzi in via di dissolvimento.
Inutile una nuova migrazione di apparatchik: saranno le urne a misurare il valore della sfida portata da Articolo 1 agli ex compagni (considerato il profilo costituzionale di Grasso, ora sembra meno strambo persino il nome del partito bersaniano). Il «valore aggiunto» portato dal presidente del Senato è però, fino a quando non finirà la sessione di bilancio, legato soprattutto alla risoluzione dei problemi che impediscono alla sinistra di trovar pace. Oltre a Vendola, ne riconoscono la leadership Civati, Fratoianni, la minoranza interna del Pd (con l'aggiunta della personale amicizia di Veltroni e Prodi). Forse persino il movimento capeggiato da Montanari e Falcone, che deciderà il prossimo 18 novembre il da farsi. A essere spiazzati, oltre a Renzi e i suoi, sembra invece la pattuglia di Pisapia. In particolare l'«omologa» della Camera, Laura Boldrini.
Che, si dice, potrebbe tornare ad accarezzare l'idea di accasarsi nel Pd (sempre che Renzi ne rivaluti ora positivamente il ruolo, in veste anti-Grasso). Altrimenti finirebbe relegata nelle liste di Pisapia, già in grosse ambasce con D'Alema. Se mai ci saranno. E casomai dovessero superare il 3%.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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