Il terrore arriva col gommone: rischiamo la "bomba umana"

La nuova strategia della Jihad: carrette del mare usate per gli attentati. E migliaia di sbarchi di immigrati per creare il caos nel nostro Paese. Sostieni il reportage

Il terrore arriva col gommone: rischiamo la "bomba umana"

L'ipotesi è da incubo, ma da quando l'Isis controlla Derna, una parte di Sirte e altre fette di Libia, l'incubo minaccia di diventare realtà. Anche perché da domenica sappiamo che sotto le spoglie degli scafisti, conosciuti fin qui soltanto come cinici e spregiudicanti trafficanti di uomini, possono celarsi minacce reali per i nostri pescherecci, le nostre navi mercantili e, non ultime, le imbarcazioni militari. Sotto l'apparenza consueta dei traghettatori di clandestini potrebbe infatti nascondersi un'imbarcazione pirata pronta ad impadronirsi di un vascello battente bandiera italiana per consegnarlo ai terroristi dello Stato Islamico. Non solo, dunque, la partenza di migliaia di persone sui gommoni, verso le nostre coste,come arma per creare il caos sul nostro territorio. Ora anche l'ipotesi che i gommoni stessi e i migranti a bordo si trasformino in kamikaze. Sotto le sembianze di un gommone di presunti scafisti può nascondersi una micidiale torpedine esplosiva pronta a puntare contro la Guardia Costiera o le navi della Marina Militare.

Ma partiamo dall'antefatto o, meglio, dall'episodio che domenica fa trillare i campanelli d'allarme ai vertici del ministero dell'Interno, della Marina Militare e dei servizi di sicurezza. Tutto inizia verso le tre di pomeriggio quando una motovedetta della Guardia Costiera soccorre un barcone con a bordo un centinaio di clandestini. Terminate le operazioni di salvataggio gli uomini della Guardia Costiera si preparano, come di consueto, ad agganciare il barcone per trasportarlo in Italia e metterlo sotto sequestro. In quel momento succede l'imprevisto. Quattro scafisti a bordo di un gommone puntano verso la motovedetta e - mentre i nostri marinai intimano di allontanarsi - uno dei quattro imbraccia un kalashnikov, e spara una raffica a pelo d'acqua verso la chiglia della nave italiana. Presi di sorpresa i marinai della Guardia Costiera che operano completamente disarmati possono soltanto tagliare la cima a cui hanno legato il barcone sequestrato e battere in ritirata.

Quell'episodio, assolutamente inedito, verificatosi proprio mentre lo Stato Islamico minaccia apertamente il nostro paese e definisce «ministro crociato» il responsabile degli Esteri Paolo Gentiloni apre le porte ad uno scenario da brivido. Da quel momento tutte le forze di sicurezza italiane impegnate sul fronte libico incominciano a mettere nel conto l'ipotesi che le imbarcazioni usate per il contrabbando di uomini possano anche venir utilizzate dai militanti del Califfato per colpire l'Italia. Ovviamente a bordo non vi sarebbero gli scafisti interessati, per natura, più al denaro che alle vergini paradisiache, ma militanti ben addestrati, mandati a colpire un'Italia considerata possibile capofila di un'operazione internazionale in Libia.

In questo scenario rientrano le possibilità più disparate. Quella più semplice richiede soltanto una manciata di granate a frammentazione e qualche terrorista, mescolato ai clandestini, pronto a lanciarle contro le imbarcazioni della Guardia Costiera o della missione europea Triton. Un kamikaze con un finto salvagente imbottito d'esplosivo potrebbe però far danni anche peggiori. Come pure un assalto a colpi di razzi anticarro alle motovedette impegnate nei soccorsi da parte di un commando imbarcato su un gommone simile a quello entrato in azione domenica. Lo scenario più agghiacciante in termini di possibili perdite umane è però quello di un barchino esplosivo condotto da un equipaggio suicida lanciato a tutta velocità contro un'imbarcazione della nostra Marina. Un metodo già sperimentato da Al Qaida il 12 ottobre 2000 quando un barchino esplosivo portato da un terrorista kamikaze fin sotto la plancia del lanciamissili americano «Uss Cole» ormeggiato nel porto di Aden causò la morte di 17 marinai.

Un altro scenario, tratteggiato dagli analisti strategici dopo l'attacco di domenica, risulta ancor più inquietante. Soprattutto per le sue ripercussioni future. Lo scenario ipotizza che ampie fette degli oltre 1500 chilometri di coste libiche cadano in pochi mesi sotto il controllo dell'Isis trasformandosi, come già successo in Somalia, in altrettanti porti della pirateria.

Lo scenario ci riporterebbe di colpo ai tempi del sedicesimo e diciassettesimo secolo quando i pirati berberi minacciavano i traffici marittimi e le stesse coste dell'Italia. Uno scenario che all'epoca venne cancellato solo grazie alla formazione di ampie coalizioni internazionali. Coalizioni che ora promettono di ridiventare di pressante attualità.

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