Imane, i pm si sbilanciano: "È morta per cause naturali"

La linea della procura smonta il caso: "All'80% colpa di una malattia cronica, difficile da individuare"

Imane, i pm si sbilanciano: "È morta per cause naturali"

Les, lupus eritematoso sistemico. A venti giorni dalla morte di Imane Fadil, l'inchiesta sulla tragica fine della testimone del caso Ruby riparte da questa sigla. È la diagnosi indicata nella cartella clinica dell'Humanitas, l'ospedale di Rozzano dove la modella marocchina era ricoverata dal 29 gennaio e dove è spirata l'1 marzo. Ed è, ogni giorno di più, la pista investigativa che sta prendendo l'indagine della Procura milanese. Al punto che ormai gli inquirenti si sbilanciano apertamente: «All'ottanta per cento possiamo dire che è morta di cause naturali».

Che tutto, alla fine, possa venire liquidato come un caso di malasanità potrebbe sembrare paradossale, dopo la ridda di ipotesi scatenata dalla notizia della morte di Imane. Le supposizioni - più o meno ardite - erano peraltro alimentate da dati oggettivi e mai smentiti, come la presenza nell'organismo della giovane di concentrazioni anomale (anche se non letali) di metalli pesanti e soprattutto dalle dichiarazioni della stessa Imane, che in ospedale aveva confidato ai parenti, al legale e anche ai sanitari il timore di essere stata avvelenata. Proprio per questo prima di imboccare con certezza una strada la Procura sta compiendo tutti gli accertamenti necessari: analizzando e incrociano i tabulati telefonici, interrogando tutti i testimoni possibili e immaginabili, e soprattutto cercando di raggiungere con l'autopsia risultati certi sulle cause della morte. Ma ormai l'ipotesi privilegiata è quella che un inquirente fin dall'inizio aveva indicato: «Vedrete che alla fine si scoprirà che è solo un caso di colpa medica».

Il Les, d'altronde, è un nemico insidioso: è una malattia cronica che può restare latente per decenni ma può essere scatenata dai fattori più disparati, da un farmaco a un virus; e soprattutto è molto difficile da individuare, perché i sintomi possono essere facilmente confusi con altri. E proprio questo può essere accaduto alla povera Imane. Ma per averne la certezza si dovrà attendere a lungo. La fase degli accertamenti medico-legali è ufficialmente partita ieri, con il summit tra i pm e la squadra multifunzioni guidata da Cristina Cattaneo. Primo step: fugare tramite «carotaggi» della salma gli ultimi timori sulla presenza di focolai radioattivi, già ritenuti assai improbabili dagli esami compiuti finora. Il primo responso arriverà oggi. Se verrà confermato che di radioattività non c'è traccia, si passerà agli accertamenti più tradizionali. Intanto si lavora alla ricostruzione minuziosa delle ultime settimana di vita di Imane prima del ricovero in ospedale. In una intervista al Fatto, il cognato italiano della modella ha detto di conoscere l'identità dell'uomo che ha cenato con lei l'ultima sera prima che si sentisse male. È un nome che gli inquirenti hanno già in mano ma che non ritengono particolarmente significativo, perché - qualunque fosse il male di cui soffriva Fadil - il fattore scatenante potrebbe essere insorto anche molto tempo prima. Ed oltretutto i ricordi dei parenti, come quelli di altri testimoni, sono basati unicamente sulle confidenze della stessa Imane, rese a distanza dai fatti e in uno stato mentale probabilmente non più lucido.

Ben più affidabili sono considerati i tabulati del telefonino della donna, che documentano minuto per minuto contatti e spostamenti. Se Imane è stata uccisa, il nome dell'assassino potrebbe essere lì. Ma forse un assassino non c'è mai stato.

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