Imprese italiane in allarme A rischio un miliardo di export

Il blocco delle importazioni agroalimentari della Russia preoccupa gli operatori: già bruciati 200 milioni di euro

Imprese italiane in allarme A rischio un miliardo di export

«L' Europa sta battendo una via dura e pericolosa. Mentre gli Stati Uniti si limitano alle schermaglie finanziarie, noi, che siamo già in una situazione fallimentare, ci facciamo bloccare le merci. Con il risultato che la Russia trova facilmente altri Paesi pronti a servirla. Stiamo davvero scegliendo la strada peggiore. Inoltre l'Europa dovrebbe sapere perfettamente che la controparte ha una visione e una gestione dirigistica del potere. E non da ora».

Così Mario Resca, presidente di Confimprese e consigliere d'amministrazione di Eni. Non usa mezzi termini. E aggiunge: «Si avvicina l'inverno, e quindi anche la tegola delle tegole, vale a dire l'approvvigionamento energetico. Se consideriamo le difficoltà in cui versa tutto il bacino del Mediterraneo, dalla Libia in poi, dobbiamo preoccuparci seriamente».

Intanto Coldiretti fa anche i conti: 200 milioni di danni «diretti» nell'agroalimentare (su un export totale di 1,07 miliardi). Quelli «indiretti» potrebbero essere devastanti: perdita di immagine e di mercato, aggravata dalla diffusione sul mercato russo di imitazioni che nulla hanno a che fare con il made in Italy . Con un rischio ulteriore: il dirottamento sempre più probabile in Italia di prodotti agroalimentari di bassa qualità di altri Paesi che non trovano più sbocchi a Mosca e dintorni. «Siamo di fronte a un'escalation preoccupante dello scontro, una guerra commerciale che conferma la strategicità del cibo, soprattutto nei periodi di recessione economica - dice Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti - La Russia colpisce l'agroalimentare perché è comunque un elemento di crescita per l'Unione europea in un momento di stagnazione».

Duro il commento di Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere: «Europa masochista - è l'accusa esplicita a Bruxelles - Occorrono attenzione e prudenza. Bisogna riflettere sulle strategie, altrimenti richiamo di distruggere il grande lavoro che le imprese italiane hanno fatto per conquistare quel mercato. L'export italiano in Russia ammonta a 10,4 miliardi di euro, difficile in questo momento capire le perdite reali. Ma se l'agroalimentare ha già bruciato 200 milioni... Le nostre imprese hanno lavorato una vita per avere numeri e credibilità. Vogliamo forse spianare la strada a chi è pronto a soffiarci importanti fette di mercato che nessuno ci potrà mai restituire? Credo che in un momento di forte contrazione del mercato interno, l'export sia l'ultima spiaggia per la sopravvivenza di questo Paese».

Le «buone» notizie, per ora, riguardano i comparti vinicolo, tessile-abbigliamento e arredo. Per Ercole Botto, ad del gruppo Reda, infatti, l'embargo di Putin sul tessile riguarda solo le forniture statali. Mosca vuole agevolare così la produzione interna: «Talvolta si tratta di una guerra di propaganda per creare allarmismo - dice Botto - In ogni caso è una situazione confusa che non giova al business. E il calo delle vendite lo dimostra ampiamente».

Ma è davvero questa l'Europa che abbiamo sognato?, si chiede Roberto Snaidero, presidente di FederlegnoArredo, il quale, tuttavia, precisa subito: «Stiamo perdendo quote in Russia, ma nessun embargo, per ora. Siamo alla vigilia dei Saloni WorldWide a Mosca. Noi ci saremo perché ci crediamo, crisi o non crisi, venti di guerra o - come spero - venti di pace. Purtroppo, però, ho l'obbligo di ricordare che l'Europa ha già distrutto - di fatto con le bombe - il mercato libico dove non si vende più neppure una porta o una sedia. Basta, laggiù il mercato è morto per sempre. Ora cerchiamo di non giocare alla roulette russa. Potremmo farci molto male».

Progetti congelati in Ucraina, infine, per il gruppo Natuzzi. Per il direttore retail , Diego Babbo, «l'effetto dell'embargo imposto da Putin, per il momento ci impone una maggiore cautela. Aspettiamo gli eventi e teniamo i nuovi progetti, cioè l'apertura di nuovi punti vendita, nel cassetto.

Uno scenario così instabile non incoraggia certo gli investitori locali. Di certo c'è una storia - che non riguarda solo la nostra azienda - da difendere. Non possiamo giocarci quarant'anni di lavoro in questo modo».

Ma a Bruxelles lo sanno?

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