Inchieste, scandali e flop: le giunte Pd vanno in rosso

Dal Piemonte alla Sicilia passando per Abruzzo, Molise e Calabria, i governo regionali e locali sono paralizzati d buchi di bilancio e guai giudiziari

Inchieste, scandali e flop: le giunte Pd vanno in rosso

Conti in rosso, assessori indagati, giunte pericolanti, scandali a ripetizione. La Campania del caso De Luca è solo un pezzo di una mappa più grande, composta da dozzine di casi problematici per il Pd di governo locale (e poi, a cascata, anche nazionale). In Piemonte la Regione guidata da Sergio Chiamparino è ancora alle prese con l'inchiesta sulle firme false per le liste che hanno permesso al Pd di vincere le Regionali, con dieci rinvii a giudizio appena chiesti dai pm (il processo sarà a ridosso delle Amministrative 2016, un bel problema per il Pd). Ma c'è anche il megabuco del bilancio regionale, un disavanzo salito alla cifra monstre di 6 miliardi di euro che ha fatto parlare Chiamparino di una Regione «sull'orlo del precipizio» (e il governo è pronto a un emendamento «Salva-Piemonte» nella legge di Stabilità). Scendendo di mille chilometri piombiamo nella telenovela di Rosario Crocetta in Regione Sicilia, arrivato nel giro di tre anni alla quarta giunta, il «Crocetta-quater», con una quarantina di assessori cambiati nel frattempo, un record forse mondiale. Ma fosse solo l'instabilità del governo siciliano, un guaio ben peggiore sono i conti della Regione Sicilia, di fatto al default. Un solo numero da far accapponare la pelle: per pagare gli oneri delle sue aziende sanitarie la Regione si è indebitata fino al 2045 (2,4 miliardi di debiti). Ed è sempre la Sicilia che l'ex sindaco di Messina nonché deputato Pd, Francantonio Genovese, è finito in galera per truffa e frode fiscale nell'inchiesta sulla Formazione regionale.E poi ci sono le spese pazze, le indagini sui rimborsi degli amministratori Pd. Quelle in Sardegna sono costate il posto da sottosegretario a Francesca Barracciu (rinviata a giudizio per peculato), ex consigliere regionale Pd ed ex candidata democratica per la presidenza dell'isola. Altra inchiesta su cene, viaggi, gratta e vinci e pure spettacoli di lap dance tutti a sbafo delle finanze pubbliche ha terremotato la giunta regionale in Calabria, sempre Pd, insediata con enorme fatica otto mesi dopo le elezioni. Tutti indagati gli assessori, due finiti agli arresti, rimpasto obbligato, e pure una sospensione di tre mesi per il governatore piddino Mario Oliverio decisa dall'Anticorruzione per la nomina a guida della azienda sanitaria di Reggio Calabria di un ex candidato sindaco del Pd (circostanza che viola le norme sulla trasparenza degli incarichi pubblici). Mentre il sindaco pd di San Ferdinando (Reggio Calabria), Domenico Madafferi, è finito dentro una maxi-operazione anti 'ndrangheta. E sempre per associazioni alle cosche calabresi, ma molto più a nord, è stato arrestato un consigliere comunale Pd a Lecco.Se il Comune di Roma dell'ex sindaco Marino è stato travolto dall'inchiesta su Mafia Capitale, qualche strascico è arrivato fino al palazzo della Regione Lazio, portando alle dimissioni da capogruppo Pd di Marco Vincenzi, accusato da Buzzi di essersi adoperato per far ottenere fondi al municipio di Ostia sciolto per infiltrazioni criminali. Mentre l'ex capo di gabinetto del governatore laziale Zingaretti, Maurizio Venafro, è stato appena rinviato a giudizio con l'accusa di turbativa d'asta per un gara d'appalto. In Molise, invece, i guai in casa Pd hanno il nome di Massimiliano Scarabeo, assessore regionale alle Attività produttive arrestato prima dell'estate con l'accusa di frode fiscale e truffa ai danni della Regione Molise (e sospeso anche dal Consiglio regionale per effetto della Severino). Mentre il presidente (Pd) della regione, Paolo Frattura, è finito sotto il torchio della stampa locale (e delle Iene) per una strana compravendita di una villetta sul mare.

Invece a Pescara succede che l'assessore Pd, Paola Marchegiani, si fa finanziare dalla Regione Abruzzo (guidata dall'ex sindaco Luciano D'Alfonso) la ristrutturazione della casa di famiglia in «complesso turistico ricettivo»: 150mila euro pubblici. Per una volta, non a sua insaputa.

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