"Io, la vera Patrizia Gucci vi racconto la storia della nostra famiglia"

La cugina dell'imprenditore ucciso dalla moglie ha scritto un libro per chiudere le ferite di un'omonimia che ha creato troppi danni

"Io, la vera Patrizia Gucci vi racconto la storia della nostra famiglia"

«…Ho subito e tutt'oggi continuo a essere danneggiata dalla triste vicenda dell'omicidio di Maurizio». Sono le parole di Patrizia Gucci, cugina dell'imprenditore ucciso nel 1993, e autrice di un libro che vuole riscattare l'onore della propria famiglia. «La sua ex moglie, nonché la mandante dell'omicidio, Patrizia Reggiani, possiede il mio stesso nome e per molti anni si presentava come Patrizia Gucci, generando confusione e danno alla mia persona e immagine, sia nella mia vita personale sia professionale» scrive nel volume Gucci La vera storia di una dinastia di successo (Mondadori, 128 pagine) che ripercorre le tappe della vita dell'azienda fondata nel 1923 dal bisnonno Guccio Gucci. Ricordi, emozioni, affreschi di un'infanzia agiata ma anche sequenze di una case history imprenditoriale offuscata dal terribile fatto di cronaca e dall'incapacità della famiglia di trovare coesione. L'azienda viene venduta e alla fine entra nell'orbita del gruppo Kering. Patrizia, figlia di Paolo e quarta generazione, inizia la sua carriera negli anni Ottanta, occupandosi delle pubbliche relazioni internazionali del marchio Gucci e in seguito è attiva come designer. Lascia l'azienda nel 1992 e lavora come fashion designer indipendente, interior decorator, scrittrice e pittrice. Nel libro racconta dell'amore fra il padre Paolo e la madre Yvonne, dell'affetto della nonna inglese Olwen e del difficile rapporto tra i Gucci, padri, figli, fratelli e cugini che porterà alla vendita dell'azienda. Si leggono anche passaggi dedicati a tanti protagonisti, per esempio a Domenico De Sole, l'ad che insieme a Tom Ford avrebbe rilanciato la griffe. «Era considerato un amico di famiglia, conosceva a menadito l'azienda e tutti i suoi segreti e godeva della fiducia di tutti. A mio avviso, si è rivelato poi un personaggio molto spiacevole e un affarista senza scrupoli» scrive mentre nelle conclusioni si legge anche di una sua lettera a François-Henri Pinault, attuale presidente della Kering. Molte le fotografie scelte dall'archivio personale: ritratti di famiglia ma anche immagini di personaggi che negli anni Sessanta erano fan delle borse Gucci. Nella nostra intervista, tutti i perché di un libro che fa discutere.

Su Gucci è stato scritto tanto…

«Finora nessuno ha raccontato la vera storia della mia famiglia. Sono usciti tanti libri ma non autorizzati. Ho voluto raccontare, con un taglio autobiografico, la mia infanzia e allo stesso tempo chi erano i Gucci».

Di tutte le falsità qual è quella che più le duole?

«Dopo la morte di Maurizio Gucci, c'è stata una vera e propria guerra mediatica, un tornado di notizie false che si è abbattuto sull'intera famiglia. Ci hanno descritti come assassini, disgraziati, gente litigiosa…».

Beh, un po' litigiosi lo eravate…

«Come tante famiglie italiane dove lo scontro generazionale mette in risalto contrasti caratteriali. I Gucci sono stati padri di polso e di carattere che inevitabilmente hanno rischiato di schiacciare i figli».

Cosa è mancato per salvare l'azienda?

«Ci fu uno scontro tra due visioni: quella di Maurizio che era molto più giovane, viveva a Milano e aveva un'idea moderna del business e quella degli altri componenti della famiglia che erano un po' più conservatori».

Cosa non si è mai detto dei Gucci?

«Che erano geniali, che hanno inventato un marchio ed esportato prodotti eccellenti in tutto il mondo grazie al passaparola. Allora non c'era la spinta della pubblicità. Per loro l'azienda era la famiglia, avevano una dedizione totale. E poi erano belli ed eleganti».

E suo padre Paolo com'era?

«Passionale, determinato, creativo. Avevamo lo stesso carattere forte e deciso e questo rendeva spesso le nostre discussioni molto animate, come accade tra due persone che si ammirano ma anche si temono».

Quale è stato il suo dolore più profondo?

«Il 1995, fu l'anno più brutto della mia vita. Prima morì Maurizio, in marzo, poi, in agosto, la mia cara, dolce nonna Olwen e in ottobre anche papà che aveva solo 63 anni».

E la gioia più grande?

«L'orgoglio di appartenere a questa famiglia, di portare il nome Gucci, di avere nel mio dna lo stesso corredo creativo. Infatti, anche se tutto è stato faticoso, dipingo, disegno accessori, scrivo».

Il ricordo più bello?

«Un quadretto che in azienda incorniciava la fotocopia di un assegno firmato da John Fitzgerald Kennedy. Agli inizi degli anni Sessanta mio nonno telefonò dall'America per annunciare ai suoi dipendenti l'arrivo di una lettera. Tutti erano preoccupati temendo rimproveri. Invece arrivò quella fotocopia che testimoniava l'acquisto di un set di valigie Gucci da parte dell'allora presidente degli Stati Uniti. Una soddisfazione enorme».

Cosa ricorda delle vostre borse iconiche?

«Le ho viste nascere tutte. Ma quella che mi emoziona di più è sulla copertina del libro: l'ho trovata in cantina, apparteneva a mio padre».

Non le viene mai la tentazione di dire: potevamo essere come i Ferragamo?

«Loro hanno un collante straordinario, la mamma Wanda. A noi è mancato chi poteva mettere insieme le diverse anime della famiglia».

Nelle conclusioni racconta di aver scritto a Pinault…

«L'ho fatto prima che venisse inaugurato il museo Gucci di Firenze. Chiedevo che la mia famiglia venisse presentata con l'importanza e la fama che meritava, senza scorrettezze.

La risposta non arrivò da Parigi ma da Casellina: Patrizio di Marco, allora amministratore delegato, mi diceva di stare tranquilla... Insieme alla lettera c'era anche un biglietto d'invito; non era per il giorno dell'inaugurazione ufficiale, serata di gala con red carpet, ma per il giorno dopo dedicato agli addetti ai lavori e ai dipendenti…».

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