Iran, il regime teme la crisi. E scende in campo Khamenei

Proteste di piazza, una giornalista si dimette: «Vi ho mentito». Alla guida suprema il sermone del venerdì

Iran, il regime teme la crisi. E scende in campo Khamenei

Beirut - Il regime iraniano cerca di reagire alla crisi innescata dall'abbattimento del Boeing ucraino e alle proteste di massa, soprattutto giovanili, che lo scuotono. Ma è stato un risveglio brusco. La scorsa settimana milioni di iraniani hanno riempito le strade in una esplosione di indignazione dopo l'assassinio da parte degli Stati Uniti del generale Qassem Soleimani. Pochi giorni dopo la teocrazia iraniana ha subito la rabbia popolare quando i pasdaran hanno tentato di occultare la causa del disastro in cui sono morte 176 persone, inclusi 82 iraniani. La leadership iraniana sta affrontando una dura opposizione interna e teme un'implosione.

Per questo ieri i leader del Paese hanno cercato di placare la frustrazione del popolo. «Abbiamo ritardato l'annuncio dell'errore umano come causa per non mettere in pericolo la sicurezza nazionale», ha detto il comandante delle forze aerospaziali dei Pasdaran, Amir Ali Hajizadeh, incontrando la famiglia di una delle 176 vittime. L'Iran deve «punire» tutti i responsabili dell'aereo ucraino abbattuto, ha invece affermato il presidente iraniano Hassan Rohani. «La prima cosa è informare le persone onestamente», ha precisato Rohani. Il ministro degli Esteri Javad Zarif, durante un viaggio in India, si è così giustificato: «Io e il presidente non sapevamo che cosa ha fatto cadere l'aereo e, non appena l'abbiamo saputo, l'abbiamo comunicato».

Tuttavia, molti denunciano il ritardo di tre giorni nel farlo e ritengono che l'ammissione di responsabilità sia arrivata solo dopo che le autorità occidentali hanno affermato di avere prove contrarie. Le morti e l'apparente insabbiamento iniziale hanno scatenato proteste in varie città iraniane. La polizia di Teheran è stata accusata di usare munizioni vere contro i manifestanti.

È un momento decisivo per il Paese. E a testimoniarlo c'è anche la decisione del leader supremo dell'Iran, l'Ayatollah Ali Khamenei, di guidare personalmente le preghiere del venerdì a Teheran questa settimana. Questa sarà la prima volta che il leader supremo terrà il sermone del venerdì in otto anni. Ha tenuto la preghiera funebre anche per Soleimani. Il sermone di preghiera del venerdì è un evento politico oltre che religioso. L'ultima volta che Khamenei lo ha tenuto è stato nel gennaio 2012, in occasione degli eventi legati alla primavera araba.

Ma il terremoto interno al Paese ha toccato anche il mondo del giornalismo. Una presentatrice della televisione di Stato iraniana, Gelare Jabbari, ha annunciato le sue dimissioni con un post su Instagram. «Perdonatemi per avervi mentito per 13 anni. Non tornerò mai più in televisione», ha scritto. Ma la presentatrice non è la sola. Come lei, anche Saba Rad e Zahra Khatami hanno rinunciato ai loro incarichi. «Non tornerò mai più in TV. Perdonatemi», ha detto Khatami. Anche Saba Rad ha comunicato così la sua decisione: «Annuncio che dopo 21 anni di lavoro in radio e tv, non posso continuare il mio lavoro nei media. Non posso».

Ma c'è anche dell'altro. Il regime è preoccupato per gli ultimi stravolgimenti e contestazioni interne perché il 21 febbraio gli iraniani andranno alle urne per le elezioni parlamentari. Sarà un duro banco di prova per l'establishment. Secondo molti analisti l'incidente aereo ha mostrato tutte le inefficienze del sistema.

Ma ciò che è stato peggio dell'incidente è stato il presunto insabbiamento della causa. E se le proteste di strada sfuggiranno al controllo, secondo gli esperti «vedremo un brutale giro di vite simile alla repressione in piazza Tiananmen in Cina nel 1989».

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