L'Iran pianifica di attuare in tempi brevi la sua vendetta dopo gli attacchi delle ultime settimane alle sue postazioni militari in Siria e di lanciare missili sul nord d'Israele. La provenienza militare segreta rende molto affidabili le informazioni affidate a un canale televisivo. Schiere di missili terra-terra vengono armati per colpire soprattutto, sembra, strutture militari, e la cura ne è probabilmente affidata a Hezbollah o a altri amici intimi, presenti in forza, della Repubblica degli Ayatollah. Questo per potere, dopo il colpo, negare la responsabilità di Teheran in prima persona: ma il comando dell'operazione è in prima persona delle «Guardie della Rivoluzione», l'intraprendente braccio armato dell'Iran più deciso a una politica espansionistica.
Il capo della forza speciale in loco è Ali Ajiazade, agli ordini dello stratega principe della conquista iraniana del Medio Oriente, il generale della «Forza Quds» Qasem Suleimani. I precedenti dell'operazione di guerra sono nell'operazione israeliana su territorio siriano quando sono state rase al suolo due strutture importanti per il disegno egemonico iraniano. Poi, due settimane fa, vicino a Homs, è stata distrutta la grossa base di missili a lunga gittata sempre operata dagli iraniani, e ci sono stati altri morti.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto subito di essere determinato a prevenire una presenza iraniana in Siria anche a prezzo di un conflitto diretto, concetto ribadito in queste ore dal ministro dell'Energia Yuval Steinitz, secondo cui Israele potrebbe eliminare il presidente siriano Bashar al-Assad «se consentirà all'Iran di trasformare la Siria in una base militare per attaccarci». Perchè Israele parla così? Le ragioni sono due: gli iraniani sono molto preoccupati per la scadenza del 12 maggio che vedrà una decisione di Trump sul mantenimento o meno dell'accordo nucleare, e possono stare meditando azioni di deterrenza molto aggressive. Israele vuole dissuaderli. In secondo luogo, Netanyahu domani avrà a Mosca un incontro fatale con Putin, e sta dispiegando le sue carte. Bibi va in Russia con volto particolarmente amichevole: assisterà alla parata dell'Armata Rossa in ricordo della vittoria su Hitler, e Israele è fra i pochissimi Paesi ad aver costruito sul suo territorio un monumento (a Herzlya) in cui si ricordano i 20 milioni di morti sovietici e il loro eroico contributo alla vittoria sul nazifascismo. Putin venne nel 2012 all'inaugurazione. Da allora Netanyahu e Putin hanno avuto rapporti cordiali: adesso l'alleato iraniano di Putin, coi suoi Hezbollah, minaccia tutta l'area, avendo al centro il suo odio inveterato per Israele. Putin si sentirà ripetere da Netanyahu che siamo sull'orlo di una vera guerra con conseguenze incommensurabili se non viene posto un blocco alla presenza iraniana sul confine dello Stato Ebraico, e gli verrà chiesto di nuovo di non vendere al regime siriano il sistema antimissile S300, uno dei più strategicamente definitivi: se l'Iran lo controllasse, per Israele sarebbe molto dura. Non solo Israele è in una situazione problematica anche a causa, oltre che della Siria, del Libano, dell'Irak e dello Yemen mentre l'Arabia Saudita, l'Egitto, la Giordania e persino il Marocco denunciano come distruttiva di ogni equilibrio la presenza imperialista iraniana. Putin aveva calcolato tutto questo quando ha permesso all'Iran di penetrare in forze in Siria, creandogli così letteralmente un confine con Israele? Probabilmente anche lui oggi è interessato a mettere un freno agli ayatollah e a Qasem Sulemani, non ha interesse a un conflitto diretto con Trump così schierato contro l'Iran.
Intanto mentre si avvicina il 12 di
maggio, si approssima anche la giornata in cui, il 14, verrà trasferita l'ambasciata a Gerusalemme: oltre a un momento di gioia, per Israele si preparano molta tensione e pericolo di attacchi terroristici da parte palestinese.
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