Niente solidarietà da parte di Cecile Kyenge. Giorgia Meloni, recentemente imbavagliata dallo Stato italiano per aver detto "basta all'immigrazione selvaggia", ne dovrà fare a meno. Intervenendo sullo scontro tra la leader di Fratelli d’Italia e l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar), l'ex ministro all'Integrazione mette in chiaro che non è una questione di libertà di stampa: "Sono quotidianamente colpita da insulti e minacce su Facebook e su altri social network, non per il merito delle idee e delle politiche che promuovo, non per le leggi che propongo, ma solo per il colore della mia pelle e per le mie origini".
"Tutte queste espressioni non hanno nulla a che vedere con la libertà di parola tutelata nella nostra Costituzione - tuona - sono solo gravi fenomeni di razzismo e di istigazione all’odio razziale, troppo sottovalutati nel nostro Paese". La Kyenge vorrebbe, se possibile, un pugno ancor più duro. Una repressione a trecentosessanta gradi. "A livello europeo - continua - è invece molto alta la soglia di allarme per la pericolosità del cosiddetto hate speech, i discorsi di istigazione all’odio razziale". E l'eurodeputata piddì crede che, rispetto ai cittadini, i politici abbiano una responsabilità in più. Per questo difende a spada tratta l'attività dell'Unar con cui lei stessa ha lavorato a lungo. "L'Unar - spiega - ha avuto il mandato di vigilare sul rischio di focolai di razzismo che sono alimentati proprio dalle predicazioni d’odio".
Per la Kyenge l'attività dell'Unar andrebbe addirittura rafforzata, "con quella maggiore indipendenza che l’Unione Europea richiede per questo tipo di organismi di garanzia".
E ribadisce: "Le accuse della Meloni sono del tutto destituite di fondamento, anzi sono la chiara dimostrazione del grande lavoro da fare per presidiare un tema così importante per il futuro della nostra società, perché non sia avvelenata dalla tossine del razzismo".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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