Dieci milioni di dollari canadesi (circa sei milioni di euro) di cauzione, consegna del passaporto e monitoraggio elettronico. Sono queste le condizioni imposte a Meng Wanzhou - meglio nota come «Lady Huawei» - per ottenere il rilascio dopo l'arresto avvenuto a Vancouver lo scorso 1° dicembre. Arresto che ha messo in grave crisi le relazioni tra il Canada e la Cina, ma che sta mettendo in pessima luce anche quelle degli Stati Uniti con Pechino: sulla cfo di Huawei, infatti, pende una richiesta di estradizione verso gli States per presunta violazione delle sanzioni all'Iran imposte dal presidente Trump.
Meng Wanzhou ha ottenuto di poter risiedere a Vancouver in una casa di proprietà del marito in attesa del processo per l'estradizione, che dovrebbe cominciare il prossimo 6 febbraio e minaccia di durare molto a lungo: sicuramente mesi, ma anche anni nell'eventualità che vengano presentati degli appelli. Le misure che sono state imposte alla top manager cinese vanno ovviamente nella direzione di garantirsi dal rischio che possa fuggire e lasciare l'America.
Trump ha commentato la vicenda per far sapere che sta considerando di intervenire personalmente «se penso che sia buono per il Paese, se penso che sia buono per quello che certamente sarà il più grande accordo commerciale mai fatto», ovvero quello tra gli Stati Uniti e la Cina. Il presidente americano fa capire di non essere pregiudizialmente contrario all'ipotesi di un rilascio di Meng, e ha spiegato che questo aspetto potrebbe diventare oggetto di negoziati con Pechino, sempre che il Dipartimento della Giustizia sia d'accordo.
Da parte sua, la Cina ha «ovviamente accolto positivamente qualsiasi azione da parte di una personalità americana, che sia il capo del governo o un alto funzionario, che contribuisca a dare un orientamento corretto al caso».
Rimane peraltro aperto il caso dell'ex diplomatico canadese Michael
Kovrig, che è stato arrestato a Pechino, come denunciato dalla Ong per la quale lavora e confermato dal premier Justin Trudeau. Un caso piuttosto lampante di rappresaglia da parte della Cina, che si rifiuta di commentarlo.
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